lunedì 16 novembre 2009

Casual blogger

Siamo tutti schiavi ormai, nel bene e nel male, dei quindici minuti di notorietà che Andy Warhol teorizzava, pioniere dell'autoaffermazione nel e del nulla. Il blog si è estroflesso nei social networks (o SN, come dicono i geeks o presunti tali). E i social networks si sono atomizzati nelle piattaforme di microblobbing. Piattaforma. Nome definitivo che promette solidità marmoree nel pulviscolo atmosferico della parola. Qualcuno, da qualche parte nella rete, dice che chi entra in questo gioco virtuale (e molto phildickiano) della alimentazione forzata della espressività online, è convinto, per il solo fatto di starci, di essere protagonista di chissà quale scena. Trovo tutto comunque molto affascinante.
Come, d'altra parte, è affascinante quella definizione che sta scritta sulla home di posterous (ultima conquista della ridondanza del nostro egotismo): CASUAL BLOGGER. Mi ci ritrovo completamente. Non so perché ma il termine casual mi riporta alla fine degli anni Settanta, a Fiorucci, a "chi mi ama mi segua" stampato sulle deliziose natiche di una provocante fanciulla, fasciate da un paio di jeans (Wampum? Jesus? o Fiorucci, ancora lui?). Nel pieno di un solipsistico delirio duepuntozero mi posto questa roba nel cuore della notte e la posto via mail, proprio tramite posterous e da posterous finirà nel mio tumblr e poi la riprenderò, con qualche aggiustamento, nel mio blog, cosa che faccio ora, in una negazione totale e consapevole dello spazio tempo. Così, tanto per provare. Così, alla casual blogger. Postare via mail. E' un po' come un matrimonio per procura o per telefono, come vige in alcuni paesi di diritto islamico (o almeno così vuole, forse, un'ennesima leggenda metropolitana). Postare via mail. Tributo estremo alla logorrea infinita che nella notte cerca un argine. Tempo fa, su tumblr, qualcuno dichiarava di osservare "l'umanità insonne della dashboard". Ecco, tutto questo nei Settanta (e non me ne voglia Simone Sarasso) non succedeva. Forse non possiamo nemmeno più permetterci il lusso di dire "chi mi ama mi segua", nemmeno se sta scritto sul grazioso sedere di una bella ragazza che comunque, altezzosamente incurante, ci volterebbe pur sempre le spalle.
Un libro.
Quelli di Philip K. Dick (tutti).
Un film.
Un poliziottesco anni Settanta (uno qualsiasi).

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