domenica 24 gennaio 2010

L'intervista fantasma o il fantasma dell'intervista

Capita di essere oggetto di interviste che mai, per una ragione o per l'altra, vedranno la luce. Chi ti fa le domande si trasforma così in un fantasma che fa perdere le sue tracce, lasciando dietro di sé il lontano, ma comunque inquietante, rumore sordo delle catene che ogni fantasma che si rispetti trascina per castelli e dimore.
Quindi ho deciso di far rivivere questa mia intervista fantasma, concessa tempo fa ad un intervistatore (o intervistatrice) fantasma che, volatilizzatosi, ha trasformato anche me, e le mie risposte, in spettri persi nella cartella documenti di qualche pc a me sconosciuto.
Naturalmente taccio il nome dell'intervistatore (o dell'intervistatrice) poiché, una volta trasformatosi in fantasma, tale è giusto che rimanga. I contenuti sono forse un po' datati. Ognuno di noi è plasmato nelle sue convinzioni dallo scorrere del tempo. Ma per un fantasma lo spazio-tempo non è rilevante.
Nel frattempo credo che due opere di Henry James (entrambe pubblicate da Einaudi) siano particolarmente indicate per questo post: Giro di vite e Racconti di fantasmi.

Per lei cosa significa scrivere?
Sono convinto di una cosa: se si è in pace con se stessi e con la realtà che ci circonda, non credo che si possa sentire l’esigenza di scrivere. Scrivere è per me la possibilità di far risaltare le contraddizioni e gli aspetti inquietanti, anche se banali, che si nascondono tra gli anfratti della nostra vita quotidiana. Quando scrivo mi sento bene, perché assumo una posizione di osservazione che mi permette di staccare momentaneamente dalla realtà.
Quali sono i suoi libri del cuore?
Sono troppi. Leggo moltissimo da sempre. Credo che leggere sia l’unica possibilità che si ha se
si vuole imparare a scrivere. Più che libri posso citare autori. Ho amato moltissimo Dürrenmatt, Borges, Dostoevskij, Nadine Gordimer, Don de Lillo, Fenoglio tanto per citare alcuni di quelli che mi hanno influenzato di più.
Il libro più bello che ha letto negli ultimi tre anni?
E’ un libro che mi ha colpito moltissimo per le problematiche esistenziali terribili che tratta. E’ un romanzo di Graham Greene: “Il nocciolo della questione”.
Qual è il rapporto con la sua regione e con la sua terra?
Direi che rappresenta il punto originario della mia attività di scrittore. Sono nato e abito in Lomellina, che è quella parte della Lombardia occidentale incastonata nel Piemonte. E’una zona di pianura, piena di fiumi, torrenti e risaie. Per me la pianura è il luogo letterario per eccellenza. La pianura è aperta da ogni lato. Non ha difese. Ci puoi mettere tutto e ci puoi far accadere di tutto. E non è detto che, di quel tutto che ci metti, se ne possa poi mantenere il controllo.
Il suo rapporto con la sua città?
La mia città non è una città. E’ un piccolo paese di milleduecento abitanti. E come tutti i piccoli paesi della provincia italiana sta subendo velocemente troppi mutamenti e non tutti positivi. E’ un paese di pianura e, per quanto riguarda gli aspetti della creazione letteraria, valgono le stesse cose che ho detto prima. La fortuna, per chi scrive, è che i mutamenti, anche se negativi, hanno tutti una forte dignità narrativa. Ma non sono sicuro che, alla fin fine, questo possa essere consolatorio.
Come è arrivato alla pubblicazione del suo lavoro?
Solita trafila. Frequentazione di uffici postali per spedire il manoscritto alle case editrici che ritenevo più in sintonia con le tematiche che tratto. Rifiuti (pochi), silenzi (tanti). Poi la lettera del mio editore e la pubblicazione. Il tutto, come si può vedere, nella norma.
Ha frequentato corsi di scrittura creativa?
No.
Ritiene siano utili?
Non credo che possano creare dal nulla uno scrittore. Scrivere è un po’ un dono di natura. Se si va all’Accademia di Brera, bisognerà pur essere capaci di disegnare già da prima. Certamente possono essere utili per affinare e migliorare le proprie capacità, che però, devono essere già presenti.
Quale ritiene sia l’aspetto più complesso della scrittura narrativa?
La narrativa, o meglio, come si diceva una volta, il romanzo “borghese” dell’Otto-Novecento non solo ha dato tanto, ma ha dato tutto. La vera difficoltà oggi sta nell’inventarsi un modo interessante per essere visibili e per essere letti, stando molto attenti a non cadere nello sperimentalismo fine a se stesso.
Come scrive: a penna o al computer? Di giorno o di notte? Segue “riti” particolari?
Scrivo al computer. In genere alla sera tardi, ma ho scritto anche in altre ore della giornata. Per quanto riguarda eventuali “riti” particolari, semplicemente non ne seguo.
Come è nata l’idea di scrivere il suo ultimo libro?
Sono molto legato alla mia terra, nel bene e nel male. Credo che si debba preferibilmente scrivere di ciò che si conosce e ambientare le storie che raccontiamo in luoghi che ci sono familiari.
Di conseguenza ho scritto una storia che ha per sfondo la pianura che, per i motivi che ho spiegato prima, è per me il posto ideale per una storia inquietante.
Preferisce cimentarsi col racconto o nelle poesie?
Preferisco alla lunga scrivere racconti. Ho iniziato la mia attività di scrittore proprio componendo racconti. Per la poesia sono purtroppo negato. Penso che un buon poeta possa anche essere un buon scrittore. Raramente succede il contrario.
Ci da una definizione dell’uno e dell’altro?
Il racconto e la poesia sono come due scrigni. Nel primo, a volte, si nasconde un romanzo; nella seconda si nasconde sempre un’emozione.
Come ha scelto il titolo del suo libro più recente?
E’ stato un felice incontro fra una mia intuizione e un successivo affinamento del mio editore.
Ha altri progetti in cantiere?
Sì, ma essendo molto scaramantico, preferisco non parlarne.





3 commenti:

Claudio Morandini ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Claudio Morandini ha detto...

Caro Angelo, io le chiamo "interviste mancate": e anch'io pubblico sul blog le mie, se non altro perché mi son costate tempo e impegno. Ho scritto tempo fa nell'introdurne una per i miei (quasi inestistenti) lettori: "En passant, le interviste mancate stanno diventando - per me, almeno - un sottogenere pieno di sottintesi: relativizzano, suggeriscono di non darsi troppe arie, sussurrano in un orecchio una specie di modesto memento mori. Hanno una loro acerba validità morale". Che ne dici, ho esagerato?

Angelo Ricci ha detto...

Caro Claudio, direi che la tua intuizione è perfetta.