venerdì 28 maggio 2010

Beirut!

Una foto in bianco e nero. Ma non quel bianco e nero ben delimitato, alla Robert Capa. Una foto in bianco e nero sgranata, confusa, con le figure dai contorni che si disperdono tra il grigio delle case colpite dalle artiglierie. Si intravede un automezzo. Forse un camion, forse un blindato. L'automezzo è fermo. Se ne vede solo la parte posteriore. Tre uomini armati di kalaschnikov. Dalle uniformi strane. Non è un esercito. E' una milizia. E' una guerra civile. I tre ridono, puntando le canne delle armi verso un corpo. E' legato al retro dell'automezzo. E' stato trascinato. E' pieno di sangue. E' morto.
La foto è del 1976. E' una delle prime della guerra civile libanese.
Beirut! Città paradigma. Città pretesto. Città simbolo. Città immaginario. Beirut è tutto e il contrario di tutto. Beirut è cristiana. Beirut è islamica. Beirut è drusa. Beirut è armena. A Beirut donne velate camminano accanto a stupende ragazze dai lunghi capelli scuri.
Inconfondibile è la pietra di una chiesa. Onnipresente è il profilo di una moschea. Confuse, anzi, infuse tra palazzi di acciaio e vetro, tra bazar e negozi che nemmeno a Beverly Hills. I RayBan scuri coprono gli occhi vellutati delle ragazze dalla pelle ambrata. Giacche fumo di Londra vestono le t-shirt nere di ex falangisti diventati buttafuori nella movida.
Una città che reitera se stessa in una costante ricostruzione. Una città che passa dai palazzi alle macerie (la prima città dove si fece uso di artiglierie nell'abitato) e dalle macerie ai grattacieli. Una città dove belle donne in bikini prendono il sole sulla corniche, circondate dagli alberghi di lusso ricostruiti con i soldi del petrolio. Gli stessi alberghi che erano i covi preferiti dai cecchini e dai torturatori.
Una città che nasconde a fatica, sotto una patina di lustrini, il sangue e la morte. Una città dove i ricordi e le vite degli ex miliziani, diventati poveri falliti, non più utili a nessuna fazione dopo lo scoppio della pace, sembrano usciti da una scenetta tragicomica alla Trainspotting. Una città dove le donne (quelle che non vivono in un ambiente integralista) si sono fatte carico, quasi chiamate da un inconscio passaparola, del compito di reagire al fanatismo. Con l'arte, con la musica, con la lettura. Ma anche con il pianto, con lo sballo, con il sesso. Un'adolescenza prolungata, perseguita coscientemente, simbolo, forse confuso, forse eccessivo e sbagliato, di una reazione al dolore, alla violenza. Una reazione che usa l'eccesso dei sensi per seppellire e sconfiggere gli eccessi della morte.
Tre libri.
Ya Salam!, di Najwa Barakat  (Epoché).
Beirut, i love you, di Zena El Khalil (Donzelli).
Beirut, di Samir Kassir (Einaudi).

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