martedì 30 novembre 2010

La pelle dopo Kaputt

C'è un sottile elemento, a noi a volte del tutto sconosciuto, che ci tiene legati a certe parole, a certe immagini, a certi libri, a certi autori. Certamente le visioni dell'immaginario cinematografico rendono esposta questa nostra segreta predilezione. E come non ricordare l'atteggiamento mollemente fatalista di Marcello Mastroianni che impersona Malaparte nel film La pelle di Liliana Cavani. Dopo aver letto Kaputt mi sono ricreduto sulla mia personalissima idea che avevo del suo autore. I libri sono come le persone. Ne sentiamo parlare, nel bene e nel male, e ce ne facciamo un'idea che, il più delle volte, è mutuata da queste informazioni de relato, influenzate inoltre, per quanto riguarda le narrazioni, dalle presenze, più o meno fatiscenti, sedimentate nel nostro percorso di formazione.
Su Kaputt e su Malaparte avevo già espresso qui alcune note. Ora, complice la mia frequentazione di librerie, scopro che Adelphi, che meritoriamente ha in corso di pubblicazione le opere di Curzio Malaparte, porta in libreria La pelle. Per ora la copertina ocra se ne sta in cima al cumulo dei miei sensi di colpa, rappresentato dai libri da leggere che, come un insistito atto d'accusa, mi guarda con insistenza. Ma La pelle è lì e, al più presto, inizierò il confronto con i fantasmi che racchiude.

venerdì 26 novembre 2010

Il nocciolo della questione (goodreads e anobii)

Tempo fa ho scritto un post che aveva per argomento l'esigenza, ormai comune a noi tutti, di rendere pubbliche le nostre librerie per mezzo di anobii. Poi, subito dopo, per ironia della sorte o a causa del destino cinico e baro, il social network libresco, ubicato nel lontano Oriente, ha cominciato a dar segni di preoccupante rallentamento e malfunzionamento, mettendo a dura prova la mia fede in lui. Al punto che, sul mio tumblr, pochi giorni fa mi sono messo a comporre, da seguace tradito, una semiseria lettera aperta a Greg Sung, il fondatore di anobii. E quindi, dopo tanto faticare per costruire le nostre librerie anobiane, è sorta sul web l'esigenza di ricercare alternative. Per carità, nulla è eterno, tantomeno i social network. E il web, nella sua frequentazione quotidiana, dà una parvenza di eternità anche all'effimero. Se poi calcoliamo che anche l'Impero Romano è caduto, allora c'è veramente da cominciare a guardarsi intorno.
Sono così diventato titolare di una doppia cittadinanza da social network libresco. Da una parte anobii (questa strana struttura che nasce a Hong Kong e trova il suo maggior numero di adepti in Italia) e dall'altra goodreads (oggetto ancora misterioso, dove la community italiana è decisamente minoritaria).
Se volete provare anche voi l'ebbrezza della scoperta di nuovi continenti andate qui (e, come me, ringraziate la rivista Finzioni).
All'inizio farà freddo, abiterete in una tenda, dovrete scavare un fossato e costruire una palizzata per difendervi dagli attacchi degli indiani e, soprattutto, scoprirete che solo una parte della vostra biblioteca anobiana verrà importata. Ma, niente paura: si dice che le cose miglioreranno. 
Se poi tutto questo andare e venire servirà a svegliare i vertici di anobii e a migliorare il funzionamento del sito, ben venga. 
Pensate che noia se alla Microsoft non dovessero guardarsi da Steve Jobs, o se alla Coca Cola non avessero da pensare alla Pepsi. Un po' di migrazione verso goodreads non può che far del bene anche ad anobii, sempre però che ad Hong Kong se ne accorgano.

giovedì 25 novembre 2010

World Wide We, di Mafe de Baggis (Apogeo)

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Jacques Séguéla pubblicava quel libro il cui titolo è diventato un vero e proprio tormentone nel mondo delle citazioni: Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario...Lei mi crede pianista in un bordello. Ed è passata altrettanta acqua dai tempi delle notti dei pubblivori, delle nonsolomoda, dalle Milano da bere, da quello sdoganamento molto anni Ottanta, che fece assurgere la pubblicità a vette di protagonismo. Si girava per case editrici e le parole chiave erano advertising e marketing (o marchetting, come sibilavano i maligni, costretti ad una espressività clandestina, degna di un samizsdat). La pubblicità era diventata succedanea della filosofia e quei tempi le demandavano tutte le risposte ai quesiti fondamentali della vita. Non che le cose fossero state differenti in passato, per carità. Edward Louis Bernays (nipotino di un certo zio di nome Sigmund Freud) applicò sin dagli anni Venti del secolo scorso le tecniche di persuasione occulta e inconscia per influenzare gli acquisti. Ma, insomma, era tutto un agire in silenzio. Negli '80, invece, i persuasori occulti se ne vengono allo scoperto e fanno di loro stessi un rutilante mito.
E poi che cosa è accaduto? E' arrivato il web duepuntozero. Luogo digitale, ma anche luogo vivo, paritario. Luogo dove non è più ammesso far scendere dall'alto il proprio messaggio, ma è vitale produrre contenuti e condivisioni. Chi vuole imporre un prodotto non può più limitarsi a scrivere "Ubik lava più bianco" (come nel claustrofobico romanzo del buon vecchio Phil Dick), ma deve produrre contenuti interessanti e condivisibili. Deve, insomma, colloquiare e non limitarsi a ordinare. 
Worl Wide We non è un manuale e nemmeno un saggio. World Wide We è una vera e propria narrazione, sostenuta da un linguaggio e da uno stile tagliente.
Se il web duepuntozero è una religione, con World Wide We ha trovato il suo profeta (anzi la sua profetessa) e, come tutte le religioni che si rispettino, anche il suo Libro. 
C'è però ancora un piccolo problema irrisolto e che è comune a tutti noi che siamo immersi nel web 2.0: capire da quale parte dell'interfaccia (per dirla alla Dr. Adder) ci troviamo. 
Un libro.
World Wide We, di Mafe de Baggis (Apogeo).

lunedì 22 novembre 2010

Librerie indipendenti

Salvare le librerie indipendenti non è un esercizio fine a se stesso, un po' come la piccola buona azione quotidiana di un boy scout benintenzionato. Sarebbe bello se in gioco ci fosse soltanto questo. Salvare le librerie indipendenti ha invece un significato molto più profondo. Non voglio fare la solita tiritera della libreria piccola che è così bellina, mentre la grande catena libraria è spersonalizzata e non c'è rapporto con il libraio, ecc. ecc.
Il fatto, in sé molto semplice e concreto è che, nella libreria che tutti abbiamo conosciuto e che va sparendo, i libri ti "parlano" e tu li puoi "ascoltare". Mentre i libri degli ipermercati o delle grandi catene se ne stanno "zitti" e tu, quando gli passi di fronte, vai per la tua strada e basta. E, credetemi, questa è una ragione più che sufficiente per cominciare a fare qualcosa per le piccole librerie.

Linko questo post dal sito Libri su libri (il vizio di leggere).
Andate, segnalate, scrivete.
Un elenco di librerie indipendenti in Italia. Per segnalarne una dovete scrivere a camillacannarsa [at] yahoo.it e inviare:
  • nome della libreria
  • indirizzo
  • numero di telefono
  • breve descrizione
  • foto (se possibile)
Questa directory nasce con l’intento di dare visibilità alle piccole librerie indipendenti e dell’usato, sparse ovunque e assolutamente meritevoli di fiducia e di ammirazione. Se vi va di segnalarne qualcuna, verrà pubblicato un post con il vostro nome e la vostra descrizione. Se avete una libreria, segnalatecela, creeremo un post e la mappa con le indicazioni per raggiungerla.

sabato 20 novembre 2010

Che fine faranno i libri? Se ne discute nella nuova community di culturability

Apre la nuova community di culturability
il social network di chi si occupa di cultura e sociale

In una videointervista Umberto Eco parla del futuro dell’editoria digitale

Le nuove frontiere dell’editoria digitale e il futuro dei libri: esordisce con al centro questo tema la nuova community on-line di culturability. Il la alla discussione lo dà Umberto Eco con una videointervista rilasciata per l’occasione. Il libro di domani è già alle porte ed è necessario interrogarsi su come, non solo il settore editoriale, ma le forme stesse della cultura siano destinate a mutare. Per questo, culturability ha deciso di aprire la sua community proponendo e ospitando un dibattito su questi temi, mettendo a disposizione contenuti speciali, interviste e video.  
La community di culturability è un vero social network rivolto a cittadini, studiosi ed esperti, professionisti, operatori culturali e sociali, istituzioni, imprese e associazioni. Uno spazio aperto al confronto e ai più diversi contributi, attraverso il quale dare vita a relazioni, condivisione delle conoscenze e delle esperienze. A partire dal 15 novembre, sarà possibile ufficialmente iscriversi, tramite il modulo di iscrizione disponibile on-line, e partecipare alla discussione.
Culturability – la responsabilità sociale della cultura è un progetto di Fondazione Unipolis che si propone allo stesso tempo come luogo di approfondimento e confronto, strumento attivo per promuovere nella società e nel territorio iniziative culturali che abbiano come obiettivo la crescita sociale e civile delle comunità, nell’ottica della sostenibilità. Culturability si serve di un sito web dedicato a questi temi, al quale ora va ad affiancarsi anche l’attività del social network.

Per partecipare alla discussione pubblica basta collegarsi a:


venerdì 19 novembre 2010

Save Beirut Heritage

Ho un interesse particolare per Beirut. Letture, sensazioni, persone conosciute in passato. Beirut è il paradigma dei sogni impossibili. Beirut è il segno lasciato da un passato e da un presente che da sempre cercano con difficoltà un futuro. Beirut è il luogo dove le crisi del medioriente inevitabilmente sfociano. Beirut è il conflitto stridente tra l'orrore di una lunga guerra civile e l'ostentazione di una normalità forzata. A Beirut ogni cosa trova il suo opposto e le nostre bussole socio-politiche occidentali sono del tutto inadeguate; anche soltanto per fare un timido tentativo di comprensione.
Ho già scritto a proposito di alcuni romanzi e saggi che hanno Beirut come argomento: un post dedicato alla città, uno dedicato a Ya, salam!, uno dedicato a Beirut, i  love you e uno al bellissimo saggio di Samir Kassir.
Ora, venuto a conoscenza dei nuovi problemi che minano l'identità e la memoria storica di Beirut, ho trovato in rete questo illuminante articolo che pubblico integralmente (l'originale è qui).

Conosciuta in passato come la “Parigi del Medio Oriente”, è stata poi martoriata da una lunga e sanguinosa guerra civile. Beirut, “metropoli araba mediterranea e occidentalizzata” nelle parole dell’intellettuale Samir Kassir, è la città dei contrasti: chiese e moschee convivono vicine, divise tra Achrafieh, il quartiere cristiano, e Hamra, quello musulmano.
Donne chiuse nel velo passeggiano su La Corniche, la suggestiva promenade panoramica sul lungomare, accanto a coetanee in attillate vesti occidentali. NelDowntown, il centro storico della capitale, moderne residenze sorgono gomito a gomito con edifici storici segnati dalla guerra. Molte delle palazzine in stile ottomano, dai caratteristici balconi di marmo, si trovano in stato di rovina o sono andate oramai perdute a causa dei bombardamenti. Quel che rimane del patrimonio architettonico della città, oggi deve, però, far fronte a un nuovo nemico: gli immobiliaristi.
La demolizione degli edifici storici è un evento che si ripete quotidianamente a Beirut, dove, nello stesso tempo, grattacieli di dubbio gusto e giganteschi parcheggi auto si diffondono sempre più rapidamente. Le gru sono sempre in attività: non per riparare ma per abbattere[1]. Si demoliscono anche le case antiche, con i tetti rossi e le tipiche finestre a tre archi, che in piedi ci starebbero benissimo. Al loro posto sorgeranno costosissimi alberghi e centri commerciali. Ricchissime società immobiliari saudite, fiutando l’affare della ricostruzione, approdano a Beirut per costruire cattedrali di cemento dai costi proibitivi con vista mare su La Corniche. Da ultimo, alcune società del Golfo, come l’Abu Dhabi Investment House e la Roads Holdings del Qatar, si occuperanno dello sviluppo di un gigantesco progetto immobiliare, circa 100mila metri quadrati nel centro storico, denominato Beirut Gate. Il progetto prevede la costruzione di unità residenziali e commerciali, luoghi di ritrovo e hotel[2]. Laddove un tempo, nel cuore della città, sorgevano i caratteristici souks con i loro profumi e la confusione delle voci, oggi sorge Beirut Souks, un enorme complesso commerciale con oltre 200 prestigiose boutiques, ristoranti e sale cinematografiche. 
Il modello di ricostruzione promosso da Solidere, la Compagnia Libanese per la Sviluppo e la Ricostruzione, è stato quello di azzerare il passato e ricostruire la città in forme nuove, trasformando anche la rete stradale[3]. Il progetto Solidere è stato spesso definito come una novella Disneyland. E’ la Beirut dei ricchi del Golfo che rischia di trasformare la ‘Parigi del Medio Oriente’ nella ‘Dubai del Levante’. Anche a seguito della crisi finanziaria globale, che ha dirottato in Libano ingenti capitali provenienti dalle monarchie del Golfo, Dubai sembra essere il modello da emulare. A suggello del rapporto tra la città e i ricchi petrolieri è stato recentemente presentato il progetto ‘Cedar Island’, di cui si è fatta promotrice la Noor International Holding, sede a Beirut e capitale ad Abu Dhabi. Il progetto prevede la costruzione di una futuristica isola a forma di cedro lungo la costa, a sud della capitale, per far spazio a hotel e ville di lusso, country club e impianti sportivi, seguendo l’esempio delle isole artificiali di Dubai[4]. La distruzione del patrimonio architettonico della città ha suscitato la reazione sdegnata di molti libanesi: negli ultimi mesi è nato su Facebook un movimento, chiamato “Save Beirut Heritage”[5], nel tentativo di salvare quel che rimane della vecchia Beirut. Oltre alla campagna di affissione massiva per le strade della capitale, questi cittadini, in collaborazione con l’APSAD (l’Association pour la protection des sites et anciennes demeures), dopo aver recensito tutte le case tradizionali di Beirut, contano di proporre delle interessanti alternative finanziarie ai vecchi proprietari decisi a vendere. L’obiettivo dichiarato è rinnovare il patrimonio invece che distruggerlo. 
L’anima della città è “mille volte morta, mille volte rinata”, come scrisse la poetessa Nadia Tueni, a testimoniare le tante vite di Beirut. Multi-religiosa, crocevia di differenti identità e culture, Beirut è sempre stata un luogo in trasformazione. Lo scempio urbanistico del distretto centrale, però, rischia di snaturarne per sempre lo spirito e l’identità, trasformando la “città dei giardini” in un residence per ricchi turisti. L’amnesia e la rimozione del proprio patrimonio architettonico e culturale sembrano essere gli imperativi sottesi ai progetti urbanistici di ricostruzione, laddove invece il recupero del proprio passato sarebbe la chiave per salvaguardare il presente e il futuro della città. La speculazione edilizia sta distruggendo le ultime aree verdi della città e le abitazioni in stile tradizionale. Poche ancora resistono, come assediate nei loro giardini, dove fioriscono buganvillea, oleandri e fiori d’arancio. Nel vecchio quartiere di Achrafieh sorge rue Sursock, famosa per le sue storiche ville, i giardini e gli alberi secolari. Presto qui sarà costruito un grande parcheggio auto. All’inizio della via un cartello scritto in caratteri arabi recita: “Strada a carattere tradizionale”. Un passante, con un pennarello, ha pensato bene di aggiungere il termine “Kana”: “Lo era”.[6]. 



[1] Robert Frisk, Beirut Is Determined to Kill Its Rich Ottoman Past, in ‘The Independent’, 22 May 2010.
[2] Notizia ANSA del 25 febbraio 2009, in http://www.freelypress.com/freelypress_beirut.html
[3] Elena Pirazzoli, Locali Notturni e Macerie Abitate: La Ricostruzione Ambigua di Beirut, Rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici On-line, 15 marzo 2006.
[4] Vedi ‘In Libano, Periodico d’Informazione Economico-Commerciale’, maggio 2009. Il numero è reperibile all’indirizzo www.ambbeirut.esteri.it
[5] http://www.facebook.com/group.php?gid=106647959367804
[6] Francesca Caferri, Pace e Turismo, la Rinascita di Beirut e la Città Diventa un Cantiere, in “La Repubblica” del 22 luglio 2010

mercoledì 17 novembre 2010

Maledetti Francesi, di Giangilberto Monti (NdA Press)

Un viaggio nel mondo musicale, anarcoide e innovativo dei più acclamati chansonnniers francofoni. Dai precursori Aristide Bruant e Yvette Guilbert fino all’attualità di Renaud, passando per Léo Ferrè, Boris Vian, Georges Brassens, Jacques Brel e Serge Gainsbourg, senza dimenticare le note sulfuree di Jean Ferrat, la disperata poesia di Barbara, le voci senza tempo di Juliette Gréco ed Edith Piaf, la poliedricità scenica di Yves Montand ed Herbert Pagani o le scorribande rock del performer Johnny Hallyday. Una manciata di vite da chansonnier dedicate a quell’incrocio tra musica, poesia e teatralità che ha fatto la fortuna di molta discografia e la gioia di chi ha condiviso i percorsi di questi cantanti d’assalto. Racconto musicale di un’epoca, ma anche dirompenti storie di vita in una Parigi che si fa centro culturale di un’Europa bisognosa di ideali e valori nuovi. La Saint-Germain des Près di Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, il jazz di Charlie Parker e Miles Davis, o il cinema di Brigitte Bardot e François Truffaut, si intrecciano con le voci dell’esistenzialismo e del maggio, mentre perfino nelle ultime rivolte delle banlieues più dimenticate sembrano riecheggiare i “maudits” di un tempo. Non solo le vite e le parole più belle di questi caustici e poetici cronisti in musica, ma anche le atmosfere di chi ancora oggi cerca una “Parigi canaglia” che non esiste più, ma che sotto il pavé coltiva quelle anarchiche utopie che la loro arte ha reso possibile. 

L’AUTORE: Chansonnier e scrittore, Giangilberto Monti pubblica una decina di album, dall’esordio con L’ordine è pubblico? (1978) al più recente Comicanti (2009). Studia da ingegnere, si diploma in mimo e teatro, studia interpretazione vocale con Cathy Berberian e recita con Franca Rame e Dario Fo, del quale metterà in scena l’intero repertorio musicale. Negli anni della Milano da bere frequenta l’ambiente dello Zelig di Milano, come autore e interprete. Firma poi il Dizionario dei Cantautori, Garzanti, 2003) e il Dizionario dei Comici e del Cabaret (Garzanti, 2008), traduce e pubblica brani di Léo Ferré, Serge Gainsbourg e Boris Vian, scrive radiodrammi, come La Belle Époque della Banda Bonnot (Prix Suisse, 2004) e mette in scena ironici recital, fra musica e teatro.

lunedì 15 novembre 2010

Quattro chiacchiere con...Don Gallo

don Andrea Gallo fondatore della Comunità di base di San Benedetto al Porto
Giovedì 18 novembre 2010 ore 17,30 - Loft 10 Piazza Cavagneria
“Così in terra come in cielo”
La sua cattedrale è la strada, i suoi insegnanti prostitute, barboni, tossiciPresenta: don Franco Tassone - parroco di san Mauro

Così in terra come in cielo Il Vangelo secondo Don Gallo - Don Andrea Gallo, il prete da marciapiede che da decenni lavora con e per gli ultimi, riprende i suoi racconti di vita vissuta raccolti in “Angelicamente anarchico”. Attraverso le storie e gli incontri che scandiscono le sue giornate prende posizione sulla liberalizzazione delle droghe, sull’accoglienza ai clandestini, sulle ipocrisie dei politici, sullo stato di abbandono in cui versano i casi psichiatrici, sulla questione del testamento biologico dopo l’incontro con Beppino Englaro, sulla firma del rogito per acquistare un terreno a Vicenza ed evitare l’ampliamento della base americana, sul finanziamento del calendario dei viados di Genova e sulle piccole grandi vicende di prostitute, transessuali, vittime della tratta, tossicodipendenti, matti e barboni che transitano nella sua scalcagnata canonica. Storie spesso a lieto fine, più spesso tragiche, ma di rara consistenza umana.

Don Andrea Gallo, sacerdote dal 1959, da decenni lavora a Genova con e per gli ultimi, i diseredati, gli emarginati; superati gli 80 anni, dopo “Angelicamente anarchico” (2005), oggi presenta “Così in terra, come in cielo”, le storie, gli incontri e le riflessioni di una vita passata sempre dalla parte dei più deboli. Dal 1975 è organizzatore e animatore della Comunità di base di San Benedetto al Porto, gruppo di frontiera specializzato nell’intervento ed assistenza per le situazioni di disagio psichico e fisico, promotore e co-fondatore, nel 1982, con il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti del CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza.

sabato 13 novembre 2010

Un altro Bloody Mary (Arturo Robertazzi again)

Le cose non devono mai essere lasciate in sospeso. Prima o poi, noi lettori vogliamo sapere come una storia continua. E non c'è suspence che tenga. I finali mi piacciono molto, così come mi piacciono le cose non dette. Credo che, a volte, in una storia, il non detto crei nel lettore interessanti aspettative. Aspettative che alimentano attese e sogni.
Ho già scritto della interessante iniziativa di Arturo Robertazzi che nel suo blog ha dato avvio ai Mondi in una pagina, una vera e propria sfida lanciata ad altri scrittori: scrivere un microracconto in dieci righe. Una sfida che, a suo tempo, ho raccolto anch'io.
Dopo Bloody Mary Arturo Robertazzi ritorna con il seguito di quel suo microracconto che fece da apripista. Lunedì 15 Novembre seguite i "Mondi in una pagina" perché esce Un altro Bloody Mary. Le attese e i sogni hanno sempre un seguito.

venerdì 12 novembre 2010

"Senza scrittori". O senza libri?

                               “Senza scrittori”. O senza libri?
                       Fondazione Unipolis e librerie.coop presentano
       il documentario ‘Senza scrittori’ di Andrea Cortellessa e Luca Archibugi
                                Venerdì 12 novembre, ore 17.00
                                   Biblioteca dell’Archiginnasio
                                   Piazza Galvani, 1 - Bologna

Venerdì 12 novembre a Bologna, Fondazione Unipolis e librerie.coop, in collaborazione con la Cineteca, promuovono l’incontro “Senza scrittori”. O senza libri?, in occasione della proiezione del documentario “Senza scrittori” di Andrea Cortellessa e Luca Archibugi. Al termine, ne discuteranno con gli autori la scrittrice Benedetta Cibrario, il giornalista e critico letterario Piero Dorfles e il direttore letterario della Feltrinelli Alberto Rollo.

“Senza scrittori” è un atto d’accusa contro alcune dinamiche dell’industria del libro e la presenza di un apparato che tende a valutare e a selezionare gli scrittori solo in base alla loro capacità di vendere. Attraverso interviste a editori, critici, librai, il documentario denuncia il predominio della macchina editoriale dei grandi gruppi, che rischia di cancellare il valore di opere e scrittori per lasciare spazio solo alla solo produzione industriale. Una ‘fiera delle vanità’ di cui il Premio Strega diviene in buon parte simbolo. Il documentario, prodotto da RAI Cinema e Digital Studio, non è ancora in distribuzione, ma le proiezioni effettuate privatamente e nel corso di festival letterari hanno suscitato un grande dibattito e scatenato una vera polemica, svoltasi in larga misura on-line.

Nel corso dell’appuntamento “Senza scrittori”. O senza libri?, si discuterà dei mutamenti in atto nel mercato editoriale anche in relazione alla diffusione delle nuove tecnologie web e di strumenti come gli e-book, i quali stanno già modificando, e sempre più cambieranno, l’intera filiera di ideazione, produzione, distribuzione e lettura dei libri. Si tratta di questioni tutte strettamente connesse non solo alla qualità delle opere letterarie, ma che mettono in discussione il futuro stesso del prodotto libro così come finora è stato concepito. Lo scenario dell’incontro sarà non a caso un luogo amato e fra gli ultimi rifugi di tutti i bibliofili: la Sala dello Stabat Mater dell’Archiginnasio,

Le nuove frontiere dell’editoria e il futuro che attende i libri sono i temi scelti per il lancio della community on-line di “culturability – la responsabilità della cultura per una società sostenibile (http://culturability.fondazioneunipolis.org), che avverrà in concomitanza con l’appuntamento del 12 novembre. Culturability è un progetto di Fondazione Unipolis che si propone come luogo di approfondimento e confronto sui temi della responsabilità sociale della cultura, affiancando a interventi sul territorio un sito web dedicato e ora anche un vero e proprio social network volto a promuovere incontri e riflessioni.

Ufficio stampa librerie.coop - tel. 051.6041431 - ufficio.stampa@ibrerie.coop.it – www.librerie.coop
Roberta Franceschinelli - tel. 339.2660670 - roberta.franceschinelli@fondazioneunipolis.org.www-
fondazioneunipolis.org

giovedì 11 novembre 2010

10 anni sulla Luna

Sabato 13 Novembre, alle ore 17.30, si inaugura la mostra "10 anni sulla Luna" dedicata ai fotografi, illustratori e scrittori della rivista La Luna di Traverso. La mostra sarà aperta dal 13 novembre 2010 al 9 gennaio 2011 nei locali del Caffè del Prato (Piazzale S. Francesco 1). Esporranno  25 autori, tra fotografi ed illustratori, selezionati tra i numerosi pubblicati sulla rivista: Chiara Battistini, Marianna Costi, Gianfranco De Simone, Marco Fortunato, Viola Mondello, Elisabetta Oneto, Francesca Parenti Brambilla, Stefano Vaja, Matteo Varsi, Maria Zanchi, Gian Guido Zurli, Ilaria Arpa, Laura Bernardi, Emiliano Billai, Umberto Chiodi, Roberto Cuoghi, Alessio Maggioni, Roberto Meli, Giacomo Mordacci, Erjon Nazeraj, Silvia Pellegrini, Valentina Scaletti, Flavia Soprani, Ettore Tomas. La mostra vanta, inoltre, la presenza di professionisti come Vasco Ascolini e Alessandro Gandolfi che si sono generosamente messi a disposizione come “fotografi d’autore”.

La Luna di Traverso. Laboratorio di Narrazioni
www.lalunaditraverso.it
www.facebook.com/lalunaditraverso
http://twitter.com/lunaditraverso
http://friendfeed.com/lalunaditraverso

martedì 9 novembre 2010

Giorgio Manganelli (1922-1990) La "Scommemorazione" - Giornata di studi nel ventennale della scomparsa



Giovedì 11 Novembre, presso l'Aula Foscolo
dell'Università degli Studi di Pavia (Strada Nuova 65)
si terrà questa interessante giornata di studi dedicata a
Giorgio Manganelli e organizzata dal Centro di ricerca interdipartimentale sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei
Fondo Manoscritti
Strada Nuova, 65 - 27100 Pavia
Tel. 0382. 984483 - Fax 0382. 984641
www.unipv.it/fondomanoscritti
Ecco il programma:





ore 9.30
Saluto delle Autorità accademiche:
Angiolino Stella, Magnifico Rettore
Elisa Romano, Preside della Facoltà di Lettere
Maria Antonietta Grignani: introduzione ai lavori
Presiede Carla Riccardi
Salvatore Silvano Nigro
Manganelli sconosciuto
Clelia Martignoni
Manganelli tra commento e “libro parallelo”:sulla genesi del Pinocchio
Florian Mussgnug
Nonsense, Unsinn, parole in libertà: modelli del nonsenso in Manganelli
pausa caffè
Lietta Manganelli
Era mio padre
Filippo Milani
La scrittura verminosa. Manganelli e Camporesi a confronto
ore 15.00
Presiede Maria Antonietta Grignani
Proiezione dell’Intervista a Mangiafoco
Federico Francucci
L’Archivio Manganelli del Centro Manoscritti di Pavia
Viola Papetti
Manganelli e Fenoglio: vite parallele ma divergenti di due traduttori
Andrea Cortellessa
L’amore col telescopio
pausa caffè
Mariarosa Bricchi
“Barocca ma freddina”: note sulla sintassi di Manganelli
Lea Vergine
L’eterodossia della memoria
Sara Lonati
Un autoillusionista in India. Sensori e cortocircuiti



lunedì 8 novembre 2010

Quattro chiacchiere con...Ettore Mo

Ettore Mo inviato speciale del “Corriere della Sera”, scrittore
Giovedì 11 novembre 2010 ore 17,30 - Loft 10 Piazza Cavagneria
“Lontani da qui”
Storie di ordinario dolore dalla periferia del mondo
Presenta: Linda Lucini – giornalista

Lontani da qui Ripercorrendo i luoghi da cui ha mosso i suoi primi passi come inviato,  l'autore guida il lettore per il lato oscuro della terra. Lo accompagna attraverso un'avvincente escursione per mostrare i drammi più cupi dell'umanità: la povera gente di Monrovia che festeggia Natale e Capodanno al cimitero, bevendo, mangiando e dormendo accanto alle tombe dei defunti; i molti emigranti messicani che inseguendo il sogno di raggiungere l'America si fanno mozzare le gambe dai treni merci; gli abitanti di La Oroya avvolti da un'apocalittica polvere di piombo, zinco, zolfo e arsenico emessa dalla "fonderia della morte" al centro della cittadina; la strage di civili nella terra Tamil; le favelas del terrore di Caracas e i figli della Revolución cubana in fuga da una realtà immiserita e senza scampo. Raccontato in prima persona, a metà strada tra memoir e reportage, "Lontani da qui" è il resoconto doloroso e commovente di una vita intera dedicata al viaggio che chiude con un grande insegnamento: il sangue versato sui campi di battaglia non migliorerà mai il corso della storia, finché non cambierà il cuore di chi combatte.

Ettore Mo è stato per vent’anni inviato speciale del “Corriere della Sera”, e continua a girare il mondo in cerca di storie da raccontare. Per Rizzoli ha pubblicato “Sporche guerre”, “Gulag e altri inferni”, “Kabul”, “I dimenticati” (tutti disponibili in Bur),“Treni”, “Fiumi” e “Ma nemmeno malinconia”.

domenica 7 novembre 2010

I link all'intervista a Massimiliano Panarari

L'intervista a Massimiliano Panarari è stata ripresa da La poesia e lo spirito e dal blog di Giovanni Agnoloni. Potete quindi leggerla e commentarla anche qui e qui.

sabato 6 novembre 2010

11 Novembre 2010 Bollati Boringhieri pubblica il libro rosso

Finalmente anche in Italia il libro segreto di Jung, un'opera tanto temeraria e preziosa che solo oggi, grazie agli sforzi inesausti di Sonu Shamadasani, traduttore principale e autore del ponderoso saggio introduttivo, questo testo straordinario esce dal caveau della banca svizzera in cui era conservato, e vede la luce a ottant'anni dalla sua conclusione e a mezzo secolo dalla morte del suo autore.
Nell'attesa che Il Libro rosso arrivi in libreria, Bollati Boringhieri propone, attraverso la realizzazione di un filmato, un assaggio delle pagine di questo libro che non solo svilupperà nuove possibilità per la comprensione del lavoro di Jung, ma diventerà, grazie alle prestigiose illustrazioni, un'autentica opera d'arte.
Questo il link al booktrailer: 
http://www.illibraio.it/speciale/librorosso/trailer.htm oppure è possibile richiedere il video contattando l'ufficio stampa Bollati Boringhieri.

Il Libro rosso è, a tutti gli effetti, il libro segreto di Jung. Non solo, in quanto scrigno privato di un'anima che lì si cela nella sua nudità, e che un comprensibile pudore ha inteso proteggere da sguardi curiosi. Esso è segreto anche, e soprattutto, in un senso più profondo e sconvolgente, in quanto riproduzione simbolica di un universo altro, rappresentazione di un significato esistenziale che è e deve rimanere ignoto: «È importante ­ scrive Jung ­ avere un segreto, una premonizione di cose sconosciute. L’uomo deve sentire che vive in un mondo che, per certi aspetti, è misterioso; che in esso avvengono e si sperimentano cose che restano inesplicabili. Solo allora la vita è completa».

Con il suo tesoro di esperienze iniziatiche e meditazioni sapienziali e con il suo corredo di immagini fantasmagoriche e virtuosismi calligrafici, Il Libro rosso si situa dunque al centro di una straordinaria sperimentazione artistica e psicologica che ne fa un unicum nel panorama novecentesco. Esso innova la tradizione del manoscritto miniato medievale, riprendendone tecniche scrittorie, schemi di impaginazione e moduli di decorazione pittorica e ornamentale. È a tutti gli effetti un libro d'arte di superiore qualità, e volutamente prezioso: perché messo al servizio di un progetto esistenziale il cui scopo è il compimento del proprio mito personale, l'automanifestazione
della Vita entro una vita.

Nell'attesa che Il Libro rosso arrivi in libreria, Bollati Boringhieri propone, attraverso la realizzazione di un filmato, un assaggio delle pagine di questo libro che non solo svilupperà nuove possibilità per la comprensione del lavoro di Jung, ma diventerà, grazie alle prestigiose illustrazioni, un'autentica opera d'arte.

E' possibile richiedere il filmato ed essere autorizzati a pubblicarlo sul vostro sito contattando l'ufficio stampa Bollati Boringhieri.


giovedì 4 novembre 2010

Intervista a Massimiliano Panarari

Massimiliano Panarari insegna Analisi del linguaggio politico all'Università di Reggio Emilia ed è l'autore di L'egemonia sottoculturale-l'Italia da Gramsci al gossip, edito da Einaudi.
Gli ho posto alcune domande, prendendo spunto dal suo saggio.

Ne è passato del tempo dalla storica sentenza n. 225 del 1974, con la quale la Corte Costituzionale accoglieva gran parte delle motivazioni del fondatore di Telebiella, aprendo così la porta all’inizio della fine del monopolio Rai e all’era della televisioni private. A quei tempi, ci si riferiva loro definendole, più che altro, tv libere. Sottintendendo, con quel termine, la loro contrapposizione alla Rai monopolista. Dagli studi televisivi improvvisati in qualche capannone, ai network nazionali. Dai pionieristici telegiornali che raccontavano le notizie dei paesi della bassa, alle corazzate come il Tg5. Quel microcosmo locale ha lasciato, in buona sostanza, il posto ad un secondo monopolio. I rivoluzionari sono diventati burocrati dell’ordine costituito, come in ogni rivoluzione che si rispetti?
È spesso accaduto, nella storia, come ben sappiamo, che i rivoluzionari si siano tramutati in fedeli tutori e immarcescibili burocrati del nuovo ordine da essi edificato. Sembra una legge di tendenza, che darebbe ragione a quel filone di pensiero, ovviamente disomogeneo e disorganico, che è stato chiamato con l’etichetta di “impolitico” (da Simone Weil a Elias Canetti, partendo da Max Weber), e che ci dice sempre molto sulla natura intrinseca del potere (anche senza voler essere a tutti i costi degli apocalittici). La ventata rivoluzionaria, per così dire (e, comunque, di rottura) delle prime tv libere private è stata riassorbita a causa di una tipica dinamica delle economie capitalistiche, i processi di assorbimento che conducono alla costituzione di oligopoli o monopoli. Una storia che conosciamo, bene, nel caso del Biscione Fininvest e Mediaset, non è vero? E, naturalmente, seguendo una dinamica che ha contraddistinto tutto l’Occidente all’indomani degli anni Settanta, alcuni intellettuali e analisti simbolici di sinistra si sono fatti sedurre dalle sirene della destra e hanno fatto il salto della quaglia, passando, armi e bagagli (come logico dietro lauto compenso) dall’altra parte della barricata. 

 La televisione (intendendo soprattutto la Rai) è stata, fino alla riforma del 1975, una televisione con una funzione molto pedagogica. In modo, a volte, anche pesante. Una televisione pedagogica che forse ha, in una certa misura, stancato l’italiano medio che, di fronte allo schermo, alla fin fine, voleva solo divertirsi e non assistere sempre alla riduzione televisiva dei capolavori della narrativa ottocentesca. L’attuale modello televisivo dominante può essere considerato figlio anche di quella esigenza?
Condivido. Nel paradigma di oggi c’è, in modo chiarissimo e marcato, il dna di quella che Umberto Eco aveva chiamato la neotv, ovvero la televisione commerciale vissuta come una irripetibile opportunità di libertà rispetto al pedagogismo Rai da parte di numerosi italiani, desiderosi solo di “spassarsela”, standosene beatamente seduti nel salotto di casa. Basta politica, zero pensieri, facciamola finita coi sensi di colpa (cattocomunisti): divertirsi, divertirsi, divertirsi e, soprattutto, consumare smodatamente e senza freni, ecco il mantra che, debuttato negli anni Ottanta dell’“edonismo reaganiano”, si è diffuso in maniera irresistibile, trovando la propria grancassa per eccellenza proprio nel piccolo schermo a colori rifulgente dei programmi dei canali privati. Gli anni del riflusso corrispondono difatti al periodo della penetrazione della televisione commerciale, sono gli anni di quella che potremmo chiamare la “rivoluzione di Drive In”.

 Diciamo una parola impegnativa: “sinistra”. Mi pare che dietro le quinte di molta televisione privata e locale della fine degli anni Settanta, ci fosse un gran lavoro, anche con risvolti sperimentali, (svolto egregiamente) da parte di molti nomi riconducibili a quello schieramento politico (un riferimento che varrà per tutti gli altri: Gino&Michele per Antenna 3). Tuttavia quelle tv locali, a ben guardare, interpretavano proprio quel comune sentire che avremmo ritrovato anni dopo come collante, per esempio, di ideologie e forze politiche schierate sul fronte opposto a quello della sinistra. Miopia? Incapacità di comprendere il presente e di utilizzare il mezzo?
Credo che uno dei temi decisivi afferisca al problema dell’aggregazione di grandi quantità e numeri elevati di individui: lo si chiami consenso democratico, audience tv, populismo plebiscitario, sotto forme diverse, la finalità rimane, però, di fatto la medesima. E quando la tv cerca di fare grandi numeri (ovvero pressoché sempre, con l’eccezione dei casi in cui si fa davvero servizio pubblico, e qui emerge l’ennesima anomalia italiana) utilizza linguaggi e contenuti molto basic che solleticano gli istinti. Come dicono, con l’usuale e neanche troppo esecrabile cinismo, autori e programmisti del piccolo schermo, se si vuole fare impennare l’audience bisogna inserire dosi abbondanti di violenza, sesso e scherno nei confronti dei potenti, i tre ingredienti che producono miracoli sulle percentuali dell’ascolto televisivo. Sono gli elementi di base, davvero “istintuali”, per molti versi, che ritroviamo ogni qual volta qualcuno punta a ottenere score elevati di audience. Così fu, in taluni casi, per certe tv locali, infatti, destinate a confluire, una dopo l’altra, nel nascente Biscione catodico berlusconiano, ma anche, sia pure più in fase iniziale e in misura meno massiva, per altre televisioni le cui proprietà guardavano con maggiore simpatia a sinistra. È proprio questa logica che, se non viene spezzata, riduce la televisione a puro strumento di promozione commerciale di prodotti e, sulla base degli stessi principi, a potentissimo instrumentum regni di chi ha, come primo obiettivo, quello di allargare imperi economici che sono in contrasto con le stessi leggi della concorrenza e del mercato.      

 Nell’accezione classica, il politico conservatore tendeva ad una visione moraleggiante e moralista del mezzo televisivo. Mi viene in mente Bernabei che ordinava di far coprire, con una pesante calzamaglia nera, le gambe delle Kessler. Oggi il politico conservatore non ha nessuna remora ad apparire in televisione in contesti molto simili a certo avanspettacolo postbellico. Ci è sfuggito qualcosa o questo fa parte del più generalizzato superamento degli schemi ideologici?
Quello a cui fai riferimento è, per l’appunto, il politico classicamente conservatore, la destra classica, moraleggiante. Dagli anni Ottanta il potere è stato conquistato da destre radicalconservatrici o neocon (a cominciare da Reagan negli Usa) che all’adesione formale a una visione moralistica affiancano molti distinguo e tante eccezioni, sul piano della condotta personale, come sempre, ma anche del livello di riorientamento dell’immaginario. La mercificazione del corpo femminile, dalle tv berlusconiane alla stampa tabloid popolare inglese o tedesca, diventa un pilastro, per la sua capacità di attrazione (già ampiamente sfruttata in termini commerciali e di vendita dei prodotti), e quindi dilaga, contravvenendo a quelli che erano i principi (quanto meno formali…) delle destre di matrice cristiana o liberale tradizionali. Siamo nel mondo postmoderno, del relativismo valoriale, e questa nuova destra, che è stata una delle responsabili di questo mutamento epocale, ci sguazza perfettamente a proprio agio e con una formidabile strumentalità. Vogliamo citare, solo per venire a un caso recentissimo e di cui tutti stanno parlando, il cosiddetto “bunga bunga”, espressione che già nella sonorità e dal punto di vista semiotico ci restituisce un’idea di quanto la corruzione linguistica si sia strettamente intrecciata con il degrado politico e morale in cui è scivolato questo nostro Paese?  

 La figura del rivoluzionario, magari trotzkista, che si trasforma in ricco produttore televisivo è una caratteristica di certo film d’oltralpe. Credo sia un esempio che ben si collega a quella mutazione (nei fini ma non nei mezzi) di certo situazionismo che citi nel tuo L’egemonia sottoculturale. Nei cupi “anni di piombo” uno dei proclami del gruppo Baader-Meinhof era: “battere la borghesia utilizzandone i mezzi”, con riferimento soprattutto alla stampa. Mi pare che oggi si possa dire che è stata la borghesia a sconfiggere il proletariato utilizzandone l’immaginario e i desideri. Al punto che, forse, non ci sono più né l’una né l’altro. Il punto d’incontro è forse quella Italia neorealitista e coatta ci cui parli nel tuo libro? Un tatuaggio e un piercing hanno “fatto” gli italiani più di Cavour e di Garibaldi?
Sono d’accordo, penso che siano cambiate radicalmente e in profondità le strutture sociali, al punto che della borghesia nell’accezione otto-novecentesca non rimane granché (e figuriamoci del proletariato…). Mentre la divisione della società tra i privilegiati (sempre più forti e ricchi, e numericamente sempre di meno) e i deboli non solo permane, per l’appunto, ma si è postmodernisticamente molto ampliata e allargata rispetto ai decenni dei “Trenta gloriosi” (1945-1975) del capitalismo fordista e keynesiano e del “compromesso socialdemocratico”. Rapporti di forza sbilanciatissimi, ristrutturazione castale, per molti versi, della società, ma un trasversalismo (anche anagrafico) dei supposti stili di vita e soprattutto di quelli di vestirsi – l’ideologia della moda ha cominciato a diffondersi a partire dagli anni Ottanta, l’epoca d’oro degli stilisti italiani, ricordate? Fino alla pretesa “democratizzazione” delle marche acquistabili negli outlet… L’Italia diventa così una sorta di “Repubblica (del televoto) fondata sulle canotte di Dolce e Gabbana”, ed elegge a maestri di stile e ad arbitri di eleganza (per tutti quanti, dai 16 ai 60 anni) i tronisti dei programmi di Maria De Filippi. A essere moralisti, verrebbe proprio da commentare o tempora, o mores… E, dunque, nel Paese neorealitista, un tatuaggio o un piercing “fanno” i neoitaliani più di quanto siano riusciti a fare, esattamente 150 anni fa, Cavour e Garibaldi. Non è molto consolante, non trovi?

 L’Italia, come tu dici, è un paese perennemente in bilico tra arcaismi e postmodernismi. In bilico fra un’idea vaga del proprio passato ed un’idea altrettanto evanescente del proprio futuro. Siamo, in buona sostanza, un paese in perenne fuga dalla concretezza.
E così, come una volta si sognava “il paradiso dei lavoratori”, oggi si sogna  un posto da “tronista” o da “velina”. Riusciremo mai a focalizzare i nostri destini di nazione sulla concretezza del presente, uscendo finalmente dal circolo vizioso arcaico/postmoderno?
È un tema davvero epocale per questo Paese dall’unificazione fragile e incerta, di cui si dovrebbe festeggiare proprio in questo periodo la ricorrenza (e la polemica politica pretestuosa che contraddistingue persino il 150esimo dell’Unità mi pare assai indicativa di un Paese irrisolto, per usare un eufemismo…). Ed è, soprattutto, un tema inaggirabile per una sinistra (o un mondo progressista) che intenda “fare il suo mestiere” e svolgere la sua funzione storica di “incivilimento” di una nazione e di una popolazione. Ecco perché penso che dare vita a una comunicazione “di tipo pedagogico”, ovvero che, senza autoritarismi, insegni a sviluppare strumenti critici rispetto allo stato delle cose che ci circonda, debba costituire uno dei nuclei essenziali di una politica progressista, in assenza del quale rischia di ritrovarsi troppo depotenziata, se non, tout court, priva di senso e di una missione. Recuperare il gap che ci divide e allontana dalle nazioni normali, quelle che hanno esperito fino in fondo, assorbendola e facendone tesoro, la lezione della modernità (fondamentalmente figlia dell’Illuminismo) appare, ogni giorno che passa, in questo nostro Paese, sempre più complicato. E questo, ritengo, dovrebbe rappresentare un altro dei compiti essenziali e costitutivi del lavoro politico della sinistra.        

martedì 2 novembre 2010

Costantinopoli - Istanbul

Da sempre sono appassionato di storia bizantina.
Costantinopoli è stata un ponte irripetibile fra
Oriente e Occidente.
Segnalo, quindi, questo interessante appuntamento.

Istituto Svizzero di Roma
Via Ludovisi 48
I-00187 Roma
t +39 06 420 42 1
f +39 06 420 42 420
roma@istitutosvizzero.it
www.istitutosvizzero.it

Costantinopoli-Istanbul
metropoli della cultura mediterranea
a cura di Antonio Iacobini e Simona Moretti

In concomitanza con “Istanbul 2010 Capitale Europea
della Cultura” e in occasione della pubblicazione del libro
a cura di Antonio Iacobini, Le porte del Paradiso.
Arte e tecnologia bizantina tra Italia e Mediterraneo
(Campisano Editore, Roma 2009), la Giornata di studio
tratterà del ruolo di Costantinopoli-Istanbul come centro
della cultura mediterranea da Bisanzio al Novecento.

Le porte del Paradiso.
Arte e tecnologia bizantina tra Italia e Mediterraneo.
Saggi di: Christoph Riedweg, Antonio Iacobini, Vera von
Falkenhausen, Jean-Michel Spieser, Alessandra Guiglia
Guidobaldi, Claudia Barsanti, Francesca Zagari, Francesco
Gandolfo, Simona Moretti, Mauro della Valle, Antonio
Milone, Antonio Braca, Livia Bevilacqua, Maurizio
Sannibale, Ettore Vio, Andrea Paribeni, Gioia Bertelli,
Roberta Flaminio, Fabrizio Vona, Vito Nicola Iacobellis,
Osvaldo Cantore, Inez van der Werf, Maria Marmontelli,
Francesca Dentamaro, Giovanni Buccolieri, Rocco Laviano,
Tuccio Sante Guido, Stefano Lanuti, Dino Pellegrino,
Antonio Cadei, Beat Brenk, Xenia Muratova, Alessandro
Taddei, Annalisa Gobbi, Giovanni Gasbarri.

In collaborazione con Sapienza Università di Roma,
Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Millenario
della Fondazione dell’Abbazia di S. Nilo a Grottaferrata,
Regione Lazio, Provincia di Frosinone - Assessorato alla
Cultura, Associazione Microcosmi Onlus e Agenzia per
Istanbul 2010 Capitale Europea della Cultura.


Mercoledì 3 novembre 2010
Ore 15.30
Programma

Saluti
Christoph Riedweg (Direttore dell’Istituto Svizzero di Roma)
Roberto Nicolai (Preside della Facoltà di Scienze
Umanistiche, Sapienza Università di Roma)
Marina Righetti Tosti-Croce (Direttore del Dipartimento
di Storia dell’Arte e dello Spettacolo, Sapienza Università di
Roma)
Santo Lucà (Presidente del Comitato Nazionale per le
Celebrazioni del Millenario della Fondazione dell’Abbazia
di S. Nilo a Grottaferrata)

Coordinano
Antonio Iacobini (Sapienza Università di Roma)
Adelia Rispoli (MAE, Direzione Generale per la Promozione
e la Cooperazione Culturale)
Istanbul 2010 Capitale Europea della Cultura

Paolo Cesaretti (Università di Bergamo)
Costantinopoli nell’immaginario dell’Occidente medievale
(XI-XII secolo)

Valentino Pace (Università di Udine/Bibliotheca Hertziana-
Istituto Max Planck per la Storia dell'arte, Roma)
Opere in movimento: le porte bizantine e la circolazione
artistica mediterranea

Francesca Rizzo Nervo (Sapienza Università di Roma)
Costantinopoli nel Medioevo letterario fra Oriente e
Occidente

Gisella Capponi (Direttore dell’ Istituto Superiore per
la Conservazione ed il Restauro, Roma)
Restauri a porte di bronzo: l'attività dell'Istituto Centrale
del Restauro da Costantinopoli all'Italia

Isabella Palumbo Fossa t i ( Université de Picardie-Amiens)
Gaspare e Giuseppe Fossati: due architetti svizzeri nella
Istanbul ottomana

Maria Antonella Fusco (Direttore dell’Istituto Nazionale
per la Gr a, Roma)
Costantinopoli nelle immagini italiane dell’Ottocento:
pittura e fotografia.