domenica 31 ottobre 2010

Il mio racconto "Come al Festivalbar" è ora scaricabile for free

Come già sapete, lunedì 25 Ottobre, sul blog di Arturo Robertazzi, è apparso un mio racconto, inserito nella bella iniziativa Mondi in una pagina.
Ora quel racconto è scaricabile liberamente. E lo potete fare cliccando qui.
Non mi resta che augurarvi una buona lettura domenicale.

sabato 30 ottobre 2010

La vita segreta dei semi, di Jonathan Silvertown (Bollati Boringhieri Editore)

Domenica scorsa sono stato al Salone del Gusto
Da sempre seguo quello che Carlin Petrini, il fondatore 
di Slow Food, dice e scrive sull'importanza della difesa 
dei semi. I semi rappresentano l'origine della nostra agricoltura 
e la difesa della loro varietà è il primo passo verso la tutela 
del nostro variegato patrimonio agroalimentare, oggi così 
minacciato dalla livellazione globalizzante dei gusti.


Rendo noto questo comunicato stampa che illustra un'opera 
che va in questa direzione e che contribuisce ad arricchire 
i lati meno usuali della nostra conoscenza


Le insospettabili avventure dei semi in un saggio leggibile e divertente


Ogni seme è un giardino nascosto, un racconto vivente dell’evoluzione. Ma anche il
protagonista di storie e mitologie, ricerche scientifiche e suggestioni artistiche. Ogni
seme, da quelli microscopici delle orchidee a quelli da venti chili delle noci di cocco
delle Seychelles, nasconde una storia affascinante, spesso inaspettata. I semi
raccontano l'evoluzione delle piante, degli animali e dell'uomo e la diversità della vita
sul nostro pianeta. Jonathan Silvertown svela in un racconto vivido e appassionato
l'importanza e la forza ispiratrice dei semi: protagonisti silenziosi del regno vivente,
importanti testimoni della ricerca sull'evoluzione genetica, ma anche simboli
affascinanti e universali, ispiratori di poesie e racconti, di miti e leggende, nell'arte e
nella letteratura.


Jonathan Silvertown, professore di ecologia alla Milton Keynes Open University, è un
brillante divulgatore scientifico, autore di libri e pubblicazioni sul regno delle piante. Si
è occupato di analisi delle variazioni biologiche della vegetazione, di storia dei processi
evolutivi e di ecologia, specialmente per quanto riguarda i nessi tra flora ed evoluzione
in senso più ampio. All'attività accademica e divulgativa affianca ruoli di spicco in
progetti di salva guardia e ricerca, come l'Ecological Continuity Trust, Citizen Science
ed Evolution MegaLab.

venerdì 29 ottobre 2010

L'impero dei sensi (di carta patinata) - R.I.P. Bob Guccione

Gli anni Settanta. Sempre. Comunque. Ma non i Settanta italiani o europei, no. I Settanta americani. America, la parte per il tutto. America, cioè Usa, cioè luogo (detestabile o meno) dell'immaginario occidentale. I Settanta della filmografia senza fronzoli barocchi. I Settanta di Quel pomeriggio di un giorno da cani, tanto per citare un titolo fra i tanti. Poliziotti newyorkesi dai capelli lunghi, in camiciola carta da zucchero sudata. Eccoli, i Settanta.
Gay Talese (un altro italoamericano; quanti italoamericani, nella letteratura, nel giornalismo) scrive un libro e definisce Playboy e il suo fondatore Hugh Hefner, come l'impero onanistico americano. Nessun moralismo. Solo una constatazione.
Ogni mito, in quel pantheon mercantile senza alcun riferimento deistico, ha il suo contraltare o, come piacerebbe a Borges, il suo doppio. Coca Cola e Pepsi, Microsoft e Apple, Playboy e Penthouse.
Lessi una volta una interessante analisi (non cito la fonte perché non la ricordo e so che Borges, aedo dell'incertezza, sarebbe d'accordo): "Le foto delle ragazze di Playboy danno l'impressione che, per averle, è necessario almeno invitarle a cena. Le foto delle ragazze di Penthouse danno l'impressione che, per averle, è sufficiente pagarle."
Bob Guccione, il fondatore di Penthouse, è morto. Anche l'erotismo, anche il softcore, anche le immagini di quelle ragazze dagli occhi di cerbiatta e dalle gambe aperte, devono fare i conti con la morte.
Chissà cosa ne scriverebbe Don DeLillo?

giovedì 28 ottobre 2010

L'eroe imperfetto, di Wu Ming 4 (Bompiani)

Credo fosse Borges a dire che le trame, le storie, sono solamente tre o quattro: una guerra, un amore e un profeta tradito dai suoi discepoli. E in questa mia incertezza del ricordo che, borgesianamente, diviene essa stessa verità imperfetta, mi rifaccio a ciò che scriveva E.M.Foster nelle conferenze che tenne al Trinity College, a Cambridge, e che vanno sotto il titolo di Aspetti del romanzo: "La Storia è in movimento, l'Arte è immobile." Lo stesso Forster confessò all'amica Virginia Woolf di non avere mai letto Defoe e si fece da lei consigliare i testi fondamentali per preparare quella serie di conferenze. Ed è in questa interessante presenza di reiterate lacune, che accomunano coloro i quali cercano un sottile filo rosso nella parola scritta (non tutti possiamo, con Karl Kraus, affermare: "Ma dove mai troverò il tempo per non leggere tante cose?"), che, inevitabilmente trova la sua ragion d'essere, comunque, la volontà inarrestabile dell'umanità di raccontare e di raccontarsi. L'esigenza irrefrenabile che spinge il cacciatore del neolitico a tracciare, sulla parete di una caverna, le scene di caccia vissute durante il giorno è quindi la stessa del narratore, a noi coevo, che tenta le più ardite sperimentazioni stilistiche. 
Il raccontare, il narrare, le storie, le narrazioni, non sono soltanto lo specchio nel quale cerchiamo di riconoscerci, ma rappresentano lo stesso strumento che caratterizza il divenire stesso dell'umanità. Le intersecazioni fra i testi, le opere, le narrazioni, sono gli elementi fondamentali di quella circolarità del raccontare e del raccontarsi che è il punto fermo della Storia, sia quella eroica che quella immobile, per dirla alla Les Annales.
Ne I miserabili c'è l'apparizione quasi spettrale di monsieur Mabeuf che, speso ogni suo avere in libri, marcia assieme ai rivoluzionari, nei moti parigini del 1832. 
Se la Storia eroica si rifà a Lawrence d'Arabia, a Byrhtnoth, ad Aiace Telamonio, a Galvano, a Henry Morgan, la Storia immobile trova la sua più alta espressione in quel vecchio intellettuale che marcia, forse senza alcuna speranza, con i rivoltosi. Ed è proprio quella l'incarnazione più simile a quegli hobbit che, resistenti al fascino perverso del potere, riescono a ritrovare la via di casa.
Forse, gli eroi imperfetti siamo noi.
Un libro.
L'eroe imperfetto, di Wu Ming 4 (Bompiani).

lunedì 25 ottobre 2010

Il Salone del Gusto

Le impressioni dell'arrivo sono le stesse. I luoghi anche. Sì, perché il Salone del Gusto si tiene a Torino, al Lingotto. Nello stesso luogo dove, ogni mese di Maggio, tutti gli appassionati della parola scritta si danno appuntamento per la Fiera del libro. L'unica differenza è un cielo grigio e freddo che contrasta con il sole della primavera avanzata, che in genere è testimone della transumanza editorial-letteraria della Fiera.
Stesso luogo, stessi padiglioni, stessi parcheggi. L'abitudinarietà è un valore, se riesce a riportarti alle stesse emozioni.
Da abituale frequentatore della Fiera de libro, e da impenitente abitudinario, ritrovo con gioia quei posti che, assieme alla folla di lettori, editori, librai e scrittori, frequento in primavera.
E mi perdo subito nel bianco delle strutture e nella pletora degli stand. E' come in primavera. Quando ci sono i libri. Si cammina, si guarda, si osserva l'umanità nomade dei visitatori e quella stanziale degli espositori.
Ma, all'occhio, saltano subito le differenze. Una tranquillità generalizzata, così lontana dalla ressa nervosa della Fiera del libro. Una disponibilità così umana, da parte degli espositori. Così lontana da quella frenesia nevrotica e da quell'aria di conoscenza esoterica dei signori della parola scritta (siano essi scrittori od editori).
Al Salone del Gusto ho incontrato un mondo fatto di persone che producono ricchezza. Ma non la ricchezza dei poli logistici e dei suv, non la ricchezza delle discariche e della fabbriche delocalizzate. Bensì la ricchezza di chi sa, con la pacifica tranquillità di non poter mai essere smentito, che con il proprio lavoro (faticoso e pieno di sacrifici) semplicemente rende onore all'evidenza. Un'evidenza fatta di piccoli produttori che, ogni giorno, creano un sentire comune fatto di prodotti, di sapori, di saperi, di gusti e di creazioni in simbiosi con il corso naturale delle cose.
Al Salone del Gusto ho capito tante cose. Ho capito qual è il vero valore delle cose. E ho anche capito che il mondo della parola scritta dovrebbe, ogni tanto, fermarsi a fare un piccolo esame di coscienza e osservare chi, con umiltà e passione, sa come far nascere dalla terra tanta tranquilla ricchezza.
Una ricchezza concreta, ma anche piena di sogni.

domenica 24 ottobre 2010

Mondi in una pagina

Hemingway ha sempre insegnato che il vero lavoro dello scrittore fosse soprattutto quello di tagliare, di limare, di ridurre. E' proprio da questa umile e difficilissima operazione che una storia, una narrazione, un racconto, alla fine, mostrano la loro vera anima.
Arturo Robertazzi ha dato vita ad una interessantissima iniziativa: quella di dare avvio alla pubblicazione di brevi racconti in dieci righe. Da questa sua idea sono nati i Mondi in una pagina.
Ho accettato con molto piacere la sfida che mi ha proposto. Da lunedì 25 Ottobre potrete leggere su Destinazione Cuore Stomaco e Cervello (il blog di Arturo Robertazzi) il mio racconto breve Come al Festivalbar.
Buona lettura!

giovedì 21 ottobre 2010

Il podcast de "Gli scrittori inutili"

Non è possibile, mai, restare indifferenti alla scrittura di Ermanno Cavazzoni. Non è possibile restare insensibili alle sue parole. Come artefici di una lucida follia, le sue storie traslano il nostro pensiero verso un universo parallelo. Un universo parallelo fatto di eterea poesia e di definitiva saggezza.
La Radio Online dell'Emilia-Romagna ha dedicato ben quattro podcast al libro Gli scrittori inutili di Ermanno Cavazzoni, per mezzo dei quali è possibile ascoltare alcune sue parti.
Per non perdere l'occasione di ascoltare questi podcast e di essere destinatari della saggezza leggera di Cavazzoni, è sufficiente cliccare qui.

mercoledì 20 ottobre 2010

Cinema calibro 9, di Fabrizio Luperto (Manni)

Se l'immaginario di una collettività avesse dei punti fissi, il poliziottesco rappresenterebbe, senza ombra di dubbio, il cardine attorno al quale orbiterebbe tutto il sentire di un'intera nazione. Il ghigno di pietra di Gastone Moschin/Ugo Piazza, in Milano calibro 9, e lo sguardo disincantato di Enrico Maria Salerno/commissario Bertone, in La polizia ringrazia, sono stati soltanto due, fra le innumerevoli icone e gli insostituibili feticci, che hanno contribuito a descrivere e interpretare (ma anche a riscrivere e reinterpretare) un decennio della nostra storia. Le immagini sempre un po' offuscate, i colori sempre un po' stinti, la fotografia sempre un po' sgranata di tutta questa filmografia, sono gli stessi che ritroviamo in qualsiasi filmato di repertorio girato durante gli anni Settanta. Quasi che la polvere del tempo avesse voluto, fin da subito, mettere la sua firma su un decennio complesso, duro e difficile. Le locandine sgargianti, i titoli urlati, una certa dose di cialtroneria, quello stare sempre un po' sopra le righe, hanno contribuito a fare del poliziottesco una creazione, un modo di essere e, perché no, anche di sentire, che ha vissuto e vive in una sua totale autonomia totalmente inimitabile. Come, d'altra parte, sono stati del tutto inimitabili e quasi avulsi dal contesto storico mondiale, gli anni Settanta italiani.
Il poliziottesco, quindi, come modalità, come tentativo di illustrare e anche, forse, di comprendere e di leggere la propria contemporaneità. Ma una contemporaneità che, sepolta dai lustrini e dalle paillettes di tutti i decenni successivi, torna forse a mostrarsi prepotentemente proprio ai nostri giorni, quando, terminata la festa dell'economia falsata e basata sulle alchimie finanziarie, si è tornati prepotentemente all'interno di una crisi economica mondiale. Esattamente come nei Settanta.
Cinema calibro 9 è un baedeker completo per chiunque voglia intraprendere il viaggio intorno al filone del poliziottesco. Veloce, rapido, completo e avvincente. Come un inseguimento fra Giuliette della Squadra Mobile e Fiat 131 dei rapinatori. Leggendo il libro di Fabrizio Luperto ci si trova, pagina dopo pagina, a conoscere tutti i particolari di questo genere cinematografico. E a provare anche l'inquietante sensazione di un déjà vu che, forse, non ci ha mai lasciati del tutto.
Un libro.
Cinema calibro 9-Guida al poliziottesco, di Fabrizio Luperto (Manni).

sabato 16 ottobre 2010

Due post interessanti da "Scrittori in causa"

Scrittori in causa è un blog decisamente interessante. Chiunque abbia a che fare con la parola scritta, dovrebbe seguirlo e/o sostenerlo. Inserisco qui due post tratti da questo blog, che affrontano tematiche estremamente infuse di contemporaneità.


di Mauro Casiraghi

C'è qualcosa di snervante nella quantità di domande, ipotesi, temi e controtemi che scaturiscono spontaneamente quando ci si mette a pensare ai libri elettronici. L'argomento ebook è ipertrofico. Contiene altri argomenti affini, che a loro volta ne contengono altri e altri e altri ancora, proprio come la Rete con i suoi rimandi infiniti, dove c'è tutto e dove non c'è niente.

60 secondi
La cosa che più mi colpisce è l'immediatezza del gesto. La rapidità e semplicità di un sistema tecnologico che permette di soddisfare una brama letteraria in 60 secondi. "Books in 60 seconds" è lo slogan banale ma efficace del Kindle, un esempio di ereader realizzato dalla Amazon. Una tavoletta di plastica che può contenere tutta la tua libreria. E che ti consente di scaricare online l'ultimo libro del tuo scrittore preferito, subito, senza aspettare. Grazie a uno speciale inchiostro digitale lo leggi come fosse una pagina stampata, anche in pieno sole, sulla spiaggia (niente a che vedere con gli schermi dei computer). Permette di fare annotazioni, rimandi interni, (forse anche le "orecchie", chissà) e di ingrandire le dimensioni del carattere a piacimento (una manna per chi ha problemi di vista). Se ti stanchi di leggere, la tavoletta legge per te (ha una voce incorporata). E in genere offre i libri a un prezzo inferiore (anche se non è sempre così).
Stiamo assistendo a una rivoluzione? Più libri per tutti? Più soldi agli scrittori? Meno spese per i lettori? Il libro, sparato in 60 secondi dal server alla tavoletta di plastica, guadagnerà in fruibilità e diffusione allargando i suoi confini? O diventerà sempre più un prodotto commerciale sposando i valori consumistici dell’usa-e-getta?

I diritti d'autore elettronici
Tra le più ipertrofiche riflessioni che l'ipertrofico concetto di ebook ispira ci sono quelle che riguardano il mercato dell'editoria, la gestione dei diritti d'autore, e il rapporto fra editore e scrittore, ovvero i temi cari a questo blog, la ragione principale per cui ne sto parlando qui.
Pubblicare un libro in formato elettronico offre evidenti vantaggi pratici per l’editore, a partire dall'azzeramento dei costi di stampa, di distribuzione e di stoccaggio dei volumi. L'incubo dei resi svanisce d'incanto. Niente più copie da mandare al macero. Un rischio d'impresa ridotto al minimo per la casa editrice. Come approfittarne?
Il primo, candido pensiero che mi viene è: ecco una grande occasione di essere spregiudicati. Ecco in arrivo una spinta all'azzardo. Ora si potranno pubblicare opere più estreme, sperimentali, di rottura, senza lo spauracchio dell’invenduto. L'ebook favorirà l'apertura verso gli esordienti, gli autori sconosciuti, quelli considerati troppo di nicchia, troppo originali per il mercato. Chissà, forse una rivoluzione democratica e creativa è davvero in arrivo (se è ancora possibile credere nelle rivoluzioni, nella democrazia e nella creatività).
Gli autori tra l’altro dovrebbero ricevere percentuali più alte sui diritti elettronici visto che l'editore risparmia altrove, introducendo nel mercato editoriale il concetto di filiera corta. Anziché il 7% sul prezzo di copertina per un contratto standard, poniamo, uno scrittore agli esordi potrebbe ottenere il 30, il 40 o perché no il 50% dei diritti su ogni copia elettronica venduta. Il che, anche considerando il prezzo di copertina ridotto, fa una bella differenza. Una differenza che appare subito più equa, aggiungo.

$$$
I soldi generano conflitti, però. Negli Stati Uniti, dove Amazon ha di recente annunciato che la vendita degli ebook ha superato quella dei volumi cartacei, sono già scoppiate lotte di potere per la gestione dei diritti del libro elettronico. Lotte innescate dalla paura di grandi distributori di essere spazzati via dall'era digitale del libro, o dalla tentazione di qualche egocentrico di fare completamente a meno dell'editore (a proposito, non ho ancora capito chi ha vinto la battaglia legale fra l'agente americano Andrew Wylie, detto lo Sciacallo, e la Random House; chi ci ha guadagnato alla fine?).
In Giappone, lo scrittore Murakami ha da poco chiuso un accordo con la Apple Japan per pubblicare il suo nuovo romanzo "La balena che canta" esclusivamente in formato elettronico, corredato da una colonna sonora appositamente scritta da Sakamoto, lasciando alla sua tradizionale casa editrice la possibilità di pubblicare su carta solo le edizioni successive. L'ebook di Murakami costerà circa 13 euro e frutterà all'autore il 70% degli introiti sulle vendite. E, dettaglio non trascurabile, costringe i fedeli lettori di Murakami non ancora dotati di iPad a comprarsene uno (questa forzatura nel rapporto autore-lettore richiederebbe un'altra ipertrofica parentesi che non mi posso permettere; trovo però che sia un'operazione in qualche modo elitaria).
Anche in Italia il fermento elettronico già si sente, sia sul piano dei diritti (se ne coglie l'umore nell'intervista del mese scorso a Roberto Santachiara) sia sul terreno delle pubblicazioni digitali che iniziano a nascere e svilupparsi (Bookrepublic e Semplicissimus) e delle iniziative dei singoli autori (Wu Ming e Sandro Veronesi con il nuovo romanzo XY).
Il consiglio pratico a chi sta per pubblicare un libro è sempre quello di leggere bene quel che c'è scritto nei contratti a proposito dei diritti per la pubblicazione in formato elettronico, e di non cedere questi diritti se l'offerta non è congrua. Cosa significa congrua è tutto da stabilire. Per quanto mi riguarda, ritengo che il 50% al netto d'Iva per l'autore sia una soluzione equa anche se immagino che molti non saranno d’accordo.

Lettera morta?
Nel frattempo, a chi preannuncia la morte dei libri tradizionali (c'è sempre qualcuno che preannuncia la morte imminente di qualcosa), molti rispondono che i volumi cartacei finora hanno dimostrato una longevità maggiore di altri supporti digitali. Un punto ribadito fino alla nausea da Umberto Eco: "Nel giro di trent'anni il disco floppy è stato sostituito dal dischetto rigido, questo dal dvd, il dvd dalla chiavetta, nessun computer è più in grado di leggere un floppy degli anni Ottanta e quindi non sappiamo se quanto c'era sopra sarebbe durato non dico mille anni ma almeno dieci. Quindi, meglio conservare la nostra memoria su carta."
Alla fine è probabile che libri cartacei e libri elettronici conviveranno a lungo insieme, forse viaggiando su binari separati, o più probabilmente integrandosi e arricchendosi a vicenda. È vero tuttavia che la scrittura elettronica ha in sé qualcosa di effimero. Dimostra una preoccupante caducità rispetto alla durata media di una vita umana. Mi domando spesso, per esempio, cosa succederà alle lettere che narratori e poeti stanno scrivendo in questo momento attraverso l'email. Lettere d'amore, di rabbia, di indignazione, di follia, di speculazione sulla condizione umana. Arriveranno mai ai posteri? (Cosa ne sarebbe stato delle "Lettere a Milena" se Kafka le avesse inviate per posta elettronica all'account Teletu della loro destinataria? Quelle parole sarebbero mai sopravvissute alla Seconda Guerra Mondiale e all'Olocausto, o anche solo a un errore irreversibile del sistema operativo, per arrivare fino a noi?).
Mi rendo conto che queste ultime sono domande illogiche, ridicole e di sicuro inutili visto che riguardano un passato che non si può cambiare. È più utile chiederci come saranno i libri in un prossimo futuro - il futuro degli ebook - mettendo da parte per un momento la questione dei diritti, del denaro, dell'oggetto libro come prodotto commerciale da vendere comprare promuovere lanciare, il cui valore finisce per essere misurato sulla scala dei numeri, del successo economico.
Cosa ci sarà domani dentro i libri?
Vorrei sapere se i contenuti e lo stile di un romanzo concepito per essere scaricato in 60 secondi e letto su un supporto elettronico cambieranno, adeguandosi al nuovo formato. Mi chiedo se gli scrittori e le scrittrici, più o meno consapevolmente, saranno influenzati dal pensiero che ciò che scrivono verrà letto in forma digitale; se i loro romanzi avranno capitoli più brevi, o più frammentati; se la loro scrittura assomiglierà al supporto su cui viene riprodotta. Rapida, scattante, immediata. O distesa, rilassata, fluttuante (come la musica di Sakamoto). I temi, le storie dei romanzi elettronici avranno qualcosa di digitale nei personaggi, nelle trame, nella voce indefinibile di una narrazione che ci cattura e a volte, quando siamo fortunati, resta con noi per anni? Nascerà un genere letterario da ebook?
Il buon senso suggerisce che non ha nessuna importanza su quale superficie o con quale mezzo scriviamo e leggiamo un libro. Pietra, cera, carta, schermo digitale o voce nell'aria: continueremo a scrivere e leggere storie e idee e pensieri come abbiamo fatto per millenni. Alcuni libri saranno buoni, altri un po’ meno; molti spariranno, qualcuno resterà e verrà passato a chi viene dopo. Forse è tutto qui.
A chi scrive, però, tocca comunque la scelta pratica di come farlo. Io, accanto allo schermo del computer, sulla scrivania, da qualche tempo tengo sei matite Staedtler HB 2 sottratte dall’astuccio di mia figlia, sei matite che tempero a rotazione e uso per riempire le pagine di quaderni scolastici con una calligrafia ostica, raccapricciante, da moribondo, nella speranza che ciò che scrivo duri un po’ più a lungo di sessanta secondi, almeno per me.


Pubblichiamo un interessante articolo su Scrittori in Causa uscito su Il Salvagente. Molto utile il riassunto finale sui modi per migliorare le condizioni degli autori in fase contrattuale.


Scontro sui vecchi e nuovi diritti d'autore
DAL LIBRO ALL'EBOOK SCRITTORI IN CAUSA
Mentre negli USA scoppia la guerra contro le case editrici per le royalties sulle opere digitali, in Italia nasce un movimento per tutelare i romanzieri


di Enrico Cinotti

Negli Stati Uniti è scontro aperto tra editori e scrittori sui diritti d’autore legati agli eBook. Spalleggiati dagli agenti letterari, Andrew Wylie in testa, e sedotti dalle alte royalties che la super libreria on line Amazon è pronta a riconoscere, molte firme si preparano a gestire autonomamente le pubblicazioni digitali delle proprie opere. Diritti che, invece, le case editrici, in America come in Italia, si tengono ben stretti magari dietro il pagamento di un piccolo compenso. Il celebre romanziere-avvocato Scott Turow, l’autore di “Presunto innocente” e presidente della Authors Guild, l’associazione degli scrittori statunitense, ha spiegato: “Gli editori si ostinano a volerci dare misere royalties del 25% per gli eBook, invece del 50% che comunemente viene riconosciuto” per i libri cartacei. In tutto questo, la Osyssey di Wylie in accordo con Amazon, è pronta a riconoscere ben il 63% delle vendite della versione eBook all’autore. 
Sportello legale
Cifre da capogiro. Specie se viste con gli occhi di un giovane esordiente italiano dove i rapporti di forza tra editore e scrittore sono a senso unico. “Qui siamo in un altro pianeta”, spiega Simona Baldanzi, finalista al premio Campiello giovani nel 1996, due romanzi all’attivo, tra cui il pluripremiato “Figli di una vestaglia blu” (Fazi, 2006). “Altro che il 25 o addirittura il 50% : da noi se sei alle prime armi ti propongono di pagare per pubblicare il libro o, se ti va bene, di acquistarne comunque un certo numero di copie. Se poi invece riesci ad avere un contratto, ti sembra di essere ‘arrivato’ ma non sai che da lì cominciano i problemi”. I contratti di edizione nella stragrande maggioranza dei casi sono standard: prevedono regole rigide, royalties basse, anticipi previsti e mai pagati, rendiconti sul venduto “totalmente arbitrari”, clausole che vincolano lo scrittore per un certo numero di anni con la casa editrice, diritti secondari, quali l’adattamento digitale dell’opera ovvero l’eBook, pagati “quattro soldi”. La partita è dunque impari. “Facendo leva sul desiderio di essere pubblicati - aggiunge la Baldanzi - ti fanno accettare di tutto. Se poi i pagamenti non arrivano, i rendiconti non ti convincono e le clausole contrattuali ti limitano, hai due strade: o lasci stare o fai causa all’editore”. Lei, però, insieme ad altri tre colleghi, di penna e “di sventura”, Sergio Nazzaro, Carolina Cutolo e Alessandra Amitrano, ha deciso di “non risolvere in solitudine la propria bega”. I quattro hanno dato vita al blog Scrittori in causa (www.scrittorincausa.splinder.com) che al momento ha suscitato un gran dibattito sui diritti degli autori e che nell’autunno prossimo si trasformerà in uno sportello legale a tutti gli effetti. Col supporto anche di legali e di commercialisti, hanno pubblicato una lunga e dettagliata serie di consigli pratici (in parte pubblicati in queste pagine) per non cadere nelle “trappole” disseminate nei contratti proposti delle case editrici.


Il mistero delle copie
Il progetto lanciato in rete è stato sottoscritto da molti autori al quale non ha mancato di esprimere la sua solidarietà Sandro Veronesi, che ad Affaritaliani.it ha spiegato: “Se c’è un problema che riguarda uno scrittore, ha senso che altri colleghi intervengano. Non parlo di scioperi, ma di dimostrare reale solidarietà mettendoci la faccia”. Altri, come Melissa P., al secolo Melissa Panarello la fortunata autrice di “100 colpi di Spazzola” (Fazi, 2003) hanno aderito convintamente. Così come Pulsatilla, Valeria di Napoli, che con il suo primo romanzo, “La ballata delle prugne secche” (Castelvecchi, 2006), ha venduto 150mila copie. “O meglio - spiega al Salvagente - questo è quello che mi è stato detto perché ogni scrittore, specie gli esordienti, non saprà mai quanto effettivamente ha venduto. Non esiste una certificazione terza e nessun obbligo di apporre il bollino Siae sulle copie”. Il paradosso è proprio questo. Su cd, dvd, software, videogame, e anche sugli ebook, è obbligatorio il sigillo Siae. Sui libri no. “E qualora - aggiunge Simona Baldanzi - scovi un tuo libro in libreria senza il bollino, quando magari il contratto lo prevede, non c’è sanzione per l’editore”. Per cui per lo scrittore non rimane altro che “fidarsi” del rendiconto dell’editore. Nemmeno allo Stato sembra interessare un controllo più capillare. L’Iva, agevolata, al 4% che grava su ogni copia viene “assolta” in anticipo. L’Imposta sul valore aggiunto si applica infatti sul numero di copie stampate e non su quelle vendute. Se poi l’editore ne manda in stampa di più, l’Erario non interviene e l’autore non saprà mai, alla fine, quanto avrà venduto rispetto alla tiratura “ufficiale”. Il mondo librario è davvero bizzarro. Si pubblica tanto, si legge poco e si remunera ancora meno il lavoro dell’autore. Nel 2009 in Italia sono stati pubblicati circa 65mila libri, 172 titoli al giorno finiscono sugli scaffali delle librerie, sfornati da 2.600 case editrici attive sul mercato. In un paese dove, secondo l’Istat, il 67% degli italiani acquista me no di tre libri all’anno.
“È come per i subprime, prima o poi scoppierà la bolla dei libri”, spiega Sergio Nazzaro, giornalista investigativo (l’ultima opera per Editori Riuniti è “MafiAfrica”) e “avvocato sul campo”, visto che “mi sono studiato tutte le varie versioni dei contratti standard”. Nazzaro lancia una lunga serie di dubbi su questo mondo: “A quanto ammonta l’evasione fiscale nel settore librario? Perché si pubblica tanto? Forse per far solo fatturato. E tutto questo avviene forse per sostenere artificiosamente i bilanci?”. Le domande restano sul tappeto. Certo è che, viste da qui, le rivendicazioni degli scrittori Usa raccontano davvero tutta un’altra storia.

Imposta salata sulle opere per Ipad e Kindle
L'IVA AL 20% NON PIACE A NESSUNO
Il sorpasso degli eBook è avvenuto nell’ultimo trimestre. La più grande libreria on line al mondo, Amazon.com, ha venduto, per ogni 100 libri di nuova pubblicazione, ben 143 in versione digitale per il lettore Kindle. Da noi il mercato degli eBook è ben più lontano e un recente studio della Aie, l’Associazione italiana degli editori, stima che alla fine dell’anno solo due titoli su 100 venduti saranno eBook. A oggi il mercato della versione digitale delle opere rappresenta appena lo 0,1% (in Francia già il 2,5%) ma i titoli prodotti in formato digitale passeranno dall’attuale 0,7 al 2% a dicembre prossimo. In realtà si vende poco anche perché esistono poche versioni eBook delle opere. A parte i classici di Dante, Manzoni e versioni digitali del Vecchio e Nuovo Testamento, si possono acquistare pochi libri in versione iPad o Kindle. Al di là dei magri dati di mercato, lo scontro in Europa si gioca sull’Iva. In base alle disposizioni comunitarie gli eBook sono equiparati ai software e quindi gravati del 20% di Imposta sul valore aggiunto. Sui libri cartacei l’Iva è al 4%. Così, su iniziativa dell’editore francese Gallimard, è partita una petizione europea, sostenuta anche dall’Aie, per chiedere a Bruxelles di ridurre l’imposta sugli eBook. La questione potrebbe abbattersi anche sugli autori visto che le royalties in genere vengono riconosciute sul prezzo di copertina al netto, ovvero togliendo, l’Iva. “I compensi già bassi, con l’Iva al 20% scomparirebbero”, dice Alessandro Trigona Occhipinti, segretario del Sindacato nazionale scrittori. “I prezzi degli eBook - prosegue - sono bassi. Nella versione digitale inoltre gli editori non hanno né costi di stampa, né di distribuzione, né di magazzino e quindi dovrebbero riconoscere compensi più alti per gli autori come sta avvenendo negli Usa”. Altra questione è il bollino Siae. Per gli eBook, a differenza dei della versione cartacea, è obbligatorio e avrà una veste digitale. “Un passo in avanti - conclude Trigona Occhipinti - che ora occorre estendere anche per i libri tradizionali e prevedere, come chiediamo da anni, sanzioni nel caso in cui le copie non lo riportino”.

CONDIZIONI MIGLIORI? SI POSSONO SPUNTARE COSI':
La stragrande maggioranza dei contratti di edizione prevede una formula standard. Contengono spesso condizioni capestro che, specie a uno scrittore esordiente, vengono presentate dagli editori come “immodificabili”. Così non si considera che, come qualsiasi accordo tra le parti, tutto può essere cambiato. Ecco alcuni consigli pratici, segnalati da Scrittori in causa, per aggirare gli ostacoli più insidiosi.

Il diritto d'autore

Cosa è previsto nei contratti standard. La legge prevede una cessione massima di 20 anni del diritto di autore ma non stabilisce un limite minimo. Come tutelarsi. L’autore può chiedere di modificare questo punto pattuendo un numero di anni di esclusiva inferiore.
I diritti secondari
Cosa è previsto nei contratti standard. Il contenuto del libro può essere adattato per una sceneggiatura cinematografica, uno spettacolo teatrale o per la versione digitale dell’opera. Nei contratti, in genere, la cessione di questi diritti, detti secondari, viene remunerata all’autore con percentuali molto basse oppure con una “una tantum”. Come tutelarsi. Nel contratto si può rivendicare una royalty maggiore per i diritti secondari oppure negare completamente la cessione di questi diritti.
Il diritto di opzione
Cosa è previsto nei contratti standard. Una delle trappole più insidiose. Prevede che per un certo numero di anni le opere successive dell’autore dovranno essere valutate dall’editore e che solo nel caso in cui quest’ultimo dichiari formalmente il suo disinteresse, l’autore potrà pubblicare con altri editori. Come tutelarsi. Nel mondo anglosassone non esistono questi tipi di clausole che, come giurisprudenza vuole, essendo potenzialmente “abusive”, possono essere rigettate dall’autore. Oppure l’autore può chiedere che questa opzione venga remunerata per gli anni in cui rimane legato alla casa editrice.
Royalty
Cosa è previsto nei contratti standard. La royalty è il compenso percentuale che spetta all’autore per ogni copia venduta. In genere gli viene “imposta” una percentuale fissa che, specie per gli esordienti, è molto bassa, anche del 5%. Come tutelarsi. Si può contrattare il compenso percentuale sapendo che nei contratti più affidabili si ha diritto a un 7% sulle prime 5mila copie, un 8% da 5.001 a 10mila copie e un 10% per le copie successive. Occorre poi verificare se questa percentuale viene applicata al prezzo netto o lordo di copertina. Questo perché l’editore versa anticipatamente il 4% di Iva per ogni copia stampata.
Controllo delle vendite
Cosa è previsto nei contratti standard. Siamo all’arbitrarietà assoluta. Non esiste una certificazione terza tra autore ed editore per stabilire quante copie sono state effettivamente vendute. A differenza dei cd, dvd e, paradossalmente, per gli eBook, per i libri cartacei non c’è alcun obbligo di apporre il bollino Siae. Dunque i resoconti sono sempre “decisi” dall’editore. Come tutelarsi. Si può chiedere di applicare a ogni copia il bollino Siae (in questo caso il costo può ricadere sull’editore). Tuttavia, come succede spesso, se in libreria viene venduta una copia sprovvista di bollino l’editore non è sanzionabile in quanto la legge italiana non prevede alcun obbligo Siae per i libri. Un altro escamotage - se si riesce a infrangere il muro delle case editrici - è quello di chiedere all’editore di mostrare le fatture (della stampa, delle librerie e del macero) per fare un controllo incrociato.


mercoledì 13 ottobre 2010

Intervista a Massimiliano Santarossa

Ho conosciuto Massimiliano Santarossa nel 2009, quando ricevette la menzione speciale del Premio Letterario Nazionale Tracce di Territorio, per Storie dal fondo, edito dalle Edizioni Biblioteca dell'Immagine. Quest'anno è uscito il suo ultimo romanzo: Hai mai fatto parte della nostra gioventù?, edito da Baldini Castoldi Dalai. A maggio, alla Fiera del Libro di Torino, mi ha accolto con grande amicizia allo stand delle Edizioni Biblioteca dell'Immagine.

Tu sei uno scrittore del Nordest. Le tue storie sono ambientate nel Nordest. La tua terra è il Nordest. Di quello che scrivi, la tua terra ne è l’immancabile scenografia. Anzi, direi che appare come la vera protagonista. Qual è il rapporto fra uno scrittore e i suoi luoghi? Qual è il rapporto fra Massimiliano Santarossa e i tuoi luoghi?
 A ben vedere ci sono solo due grandi filoni letterari: quello d’invenzione e quello reale che nasce dalla pelle, dal sangue, dall’anima.
Questo secondo genere comporta un radicamento nella terra dove si nasce, dove si cresce, dove si mangia e respira. Nel mio caso le storie sono ambientate tra Friuli e Veneto perché qui ci sono le mie radici. Però il Nordest che racconto è quello povero, violento, emarginato, un Nordest d’Italia “al contrario” rispetto all’immagine patinata e bugiarda che alcuni media vogliono far passare. Io non racconto il “Nordest locomotiva d’Italia”, narro bensì quello vero, quello dei borghi contadini trasformati in laghi di cemento, racconto quel territorio che cinquant’anni fa era tra i più belli al mondo e che oggi è identico ad una Los Angeles che si espande attraverso una periferia ultrapopolata, soffocata, soffocante, dove la ruggine e l’asfalto hanno coperto ogni cosa, comprese le vite dei figli del Nordest.
Il mio rapporto con tutto questo è stato per anni di conflitto estremo, oggi è di conflitto letterario.

 Nei tuoi romanzi spesso descrivi una realtà nella quale sono saltati tutti i legami tradizionali: la famiglia, la scuola, le istituzioni. Il lavoro stesso è soltanto sfruttamento. Non c’è più alcun orizzonte, se non quello limitato dalle singole giornate o, addirittura, dalle singole ore. Una realtà dove nessuno ha più il tempo e la voglia di costruire un futuro. Oltre questo orizzonte, esiste ancora qualche possibilità di salvezza?
 Pier Paolo Pasolini definiva le parole “speranza” e “salvezza” come le parole più violente inventate dall’essere umano. Lo pensavo anch’io fino a qualche anno fa. Oggi invece una mia forma di salvezza l’ho trovata dentro un microcosmo personale: la mia famiglia. La salvezza la trovo solo nell’amore di due persone, mia moglie che mi ha salvato dai labirinti della notte, e mio figlio che mi illumina con i suoi sorrisi e con le sue domande.
Durante gli incontri spesso i lettori mi chiedono di donare loro una speranza, ma questo non è il compito della letteratura. La letteratura non deve mai essere consolatoria, deve invece aiutare il lettore a trovare una via per contrasto, mai per induzione. Chi legge i miei libri deve mettere in conto che serve un atto di coraggio, che serve la volontà di riflettere su ciò che la vita riserva a tutti noi in certi momenti duri, e per contrasto a questo crearsi una propria speranza. Ripeto: serve avere una speranza, ma figlia della ragione.

I tuoi personaggi, a parte alcuni che si estraniano completamente dal loro mondo per mezzo di scelte senza ritorno, sembrano, pur nella costrizione di una vita terribile, non avere nessuna voglia di riscatto, se non per periodi limitati e confinati nello sballo e nell’abuso di droghe e di alcol. È un po’ come se tu descrivessi una società afflitta da una diffusa “sindrome di Stoccolma”. Tutti sono vittime di un sistema senza più un briciolo di umanità, però, nello stesso tempo, tutti cercano di essere a loro volta carnefici per ottenere proprio da quel sistema, che contestano e che li abbruttisce, un qualche vantaggio. Non solo non c’è più traccia di una coscienza collettiva, ma è scomparsa del tutto anche la coscienza individuale. Chi sono stati, se vi sono, i responsabili di questa vera e propria mutazione che appare quasi genetica, più ancora che sociale e politica?
 La vedi più nera di come la descrivo. In verità i miei personaggi (che alla fine sono tutti miei fratelli e sorelle d’anima, frequentati, conosciuti, abbracciati dentro le notti infinite) un riscatto lo cercano eccome, ed è l’unico riscatto che conta, l’unico riscatto importante, fondamentale, e si chiama amicizia, fratellanza, condivisione, in alcuni casi amore. Noi eravamo e siamo figli di una periferia violenta, violentissima, dove l’eroina, la cocaina, gli acidi, il vino, hanno cancellato quasi un’intera generazione. Qui abbiamo vissuto i moderni campi di concentramento, cioè i capannoni industriali dove una miriade di uomini e donne venivano carcerati volontariamente per tredici ore al giorno a tagliare tavole di legno, o costruire lavatrici e termosifoni, qui siamo stati strappati dai campi e dalle case coloniche per essere ingabbiati dentro i palazzoni popolari che compaiono in tutte le copertine dei miei libri, qui abbiamo vissuto la solitudine figlia dell’assenza di amore e dolcezza, e quindi il nostro più grande riscatto era ritrovare quell’amore e quella dolcezza, anche se in forma contraffatta, sintetica, sballata.
Irvine Welsh scrive “non mi interessano i successi, sono attratto solo dai fallimenti”. Io aggiungo che l’unica vittoria possibile nel nostro caso era l’abbraccio fraterno tra noi, pure nella sconfitta della vita. Una carezza, non abbiamo mai chiesto altro.

 Massimiliano, parlandoti mi è parso di capire che c’è molta partecipazione personale in quello che scrivi. Le tue storie, le tue parole sono, pur nel tono profondamente critico, un atto d’amore verso i tuoi personaggi e verso le loro radici. Quanto c’è di te nei tuoi romanzi?
 Nei miei romanzi c’è la mia anima, la mia pelle, la mia storia di ex ragazzo “cattivo”. Un ragazzo orfano di padre, poi chiuso nella classe dei “bambini diversi”, poi cacciato dalle scuole italiane per intemperanza, poi finito a fare i peggio lavori in fabbrica e infine riscattatosi grazie a quel miracolo chiamato letteratura.
Il Vez è una specie di alter-ego, forse ancora più “cattivo” di me, ma alla fine la voce sua è la voce mia. Nei romanzi non invento nulla, non ne sono capace.

Ci sono degli autori che ti hanno, non dico influenzato, ma colpito in modo particolare? Che hanno formato la tua scrittura e il tuo stile?
Ti rispondo seriamente: Boracho, il vecchio sulla Graziella disperso nel Triangolo delle Bevude di Pordenone. Quello che a 14 anni mi ha raccontato dell’odore della pelle delle puttane turche. E’ un vero Poeta di Vita. Un vecchietto alcolizzato, che conosce le parole meglio di molti premi Nobel. Lui è stato un maestro assoluto.
Poi ultimamente dei critici letterari mi avvicinano a Pier Paolo Pasolini; un critico sosteneva che se Pasolini avesse oggi la mia età scriverebbe le cose che scrivo io. Credo siano esagerati ad accostarmi a lui, ma non nascondo che il piacere è immenso, considerando io stesso Pasolini il riferimento assoluto.
Poi le influenze derivano da maestri come Bukowski, Fante, Ellis e i più recenti Welsh, Frey e, a dire il vero, pochi altri.

 Il Nordest è, da parecchi anni, una sorta di laboratorio letterario. Moltissimi sono gli scrittori che sono nati, perdonami se ti parafraso, alla luce intermittente delle insegne dei suoi infiniti capannoni. Credi che possa essere possibile una qualche collaborazione fra chi scrive o la scrittura è un atto esclusivamente solitario?
 Non è possibile alcuna collaborazione.
Ci sono diversi scrittori da queste parti. Molti bravi, alcuni anche bravissimi. Hanno contribuito a dare un’altra immagine del Nordest più vera di come veniva descritto. Però raccontano la media società, accennano qualche critica al territorio, descrivono un Nordest che si evolve.
Io faccio altro. Racconto l’inferno che ho vissuto, la marginalità della vita estrema, la droga e la tossicodipendenza, la violenza di ragazzi senza limite. Il mio è un lavoro che nasce da dentro. Loro sono laureati, io ho la terza media. Loro si conoscono, io conosco solo gli amici di sempre. Loro organizzano spesso corsi di scrittura creativa, io scappo da ogni forma di regola o insegnamento.
Massima stima. Ma non ci possono essere collaborazioni.

Un’ultima domanda. Che cosa consigli a chi sente il bisogno di affidare alla parola scritta le proprie idee, le proprie gioie e, perché no, le proprie sofferenze?
 Consiglio sempre di lasciar perdere. Scrivere è molto doloroso, implica un viaggio dentro se stessi e spesso si scoprono i mostri sotterrati.
     Poi credo che gli scrittori debbano mettere in guardia gli “aspiranti”, tentando di farli desistere. Per lo scrittore debuttante è necessario superare ostacoli, scavalcare muri, mettere alla prova la propria resistenza. Questo è il primo grado di selezione, per dividere chi vuole scrivere per bieco interesse e chi invece per necessità vitale. Solo i secondi meritano di arrivare alla pubblicazione.
      Superato il primo ostacolo, passo all’unico consiglio valido: vivete, vivete molto. Perché bisogna vivere, prima di scrivere.

sabato 9 ottobre 2010

Ho studiato economia e me ne pento, di Florence Noiville (Bollati Boringhieri Editore)

La crisi economica ha segnato pesantemente la fine di questo primo decennio del terzo millennio. E tutto lascia pensare che ci vorrà del tempo prima che le sue conseguenze abbandonino le nostre vite. Mai come in questo caso le trame più o meno nascoste, che si sviluppano nelle segrete stanze del potere mondiale, hanno lasciato un segno nella quotidianità di ciascuno di noi.
Ricevo questo interessante comunicato stampa che pubblico, nella certezza che incontrerà il vostro interesse.


Florence Noiville, Ho studiato economia e me ne pento  

«Incipit»
€10,00 pp.96
Diplomata nel 1984 in una delle più prestigiose business schools francesi, Florence Noiville pone in questo libro due domande fondamentali: le scuole economiched’eccellenza hanno la loro parte di responsabilità nella crisi che sta devastando società e mercati? Sono state almeno in grado di preparare le élite di domani ad affrontare l’emergenza? Le risposte sono tutt’altro che rassicuranti: sì, le business schools sono colpevoli perché orientano esclusivamente al profitto, mettendo ai posti di comando manager nutriti di elitismo e cultura della prestazione; no, non hanno preparato ad affrontare il disastro perché si sono limitate a sopravvalutare il successo economico.
Tra ricordi autobiografici e casi concreti, Florence Noiville traccia così una panoramica demistificatoria su alcuni disastri dell'economia attuale. Con la sua lucida analisi del fallimentare rampantismo di una generazione, la Noiville consegna al lettore una critica tagliente e ironica della legge del «profitto prima di tutto». Eppure, alla fine, un sogno rimane: quello di un insegnamento che prepari i nuovi dirigenti a evitare le trappole dell'euforia speculativa, che scardini i privilegi delle élite manageriali, in nome della responsabilità, e apra la strada a un capitalismo eticamente sostenibile.
Florence Noiville lavora come giornalista a «Le Monde». Dopo la laurea in diritto commerciale presso l'École des Hautes Études Commerciales (HEC), ha presto abbandonato la carriera nella finanza in nome della cultura. Oggi scrive come critica letteraria su «Le Monde des livres», ed è anche saggista e romanziera. In traduzione italiana sono usciti Isaac B. Singer. Una biografia (2006)

mercoledì 6 ottobre 2010

Hai mai fatto parte della nostra gioventù?, di Massimiliano Santarossa (Baldini Castoldi Dalai)

C'è un punto di svolta in Apocalypse Now. Ed è quando il capitano Willard arriva di notte nell'avamposto più estremo delle linee americane, al confine con la Cambogia. Un ponte militare in perenne costruzione, soldati strafatti, caos totale, voci di vietcong che arrivano da tutte le parti come lamenti di spettri, ufficiali scomparsi, il buio della notte interrotto continuamente dai lanci dei bengala. Un inferno dantesco, onirico, una similitudine di quell'inferno che alberga nei meandri più nascosti delle nostre vite.
Massimiliano Santarossa, in Hai mai fatto parte della nostra gioventù?, descrive un simile avamposto. Una sorta di Vietnam personale. Un avamposto di frontiera, presidiato da demoni e spettri. Un viaggio quasi onirico nella maledizione della vita. Ognuno di noi influenza i propri luoghi, nel bene e nel male. E, altrettanto nel bene come nel male, i luoghi influenzano fin nel profondo le nostre vite.
Settantadue ore di inferno, di incubo, di maledizione. Ma un inferno, un incubo, una maledizione che nascono dalla banalità, che nascono dalla quotidianità, che nascono dal trascorrere, apparentemente normale, del tempo.
Come in quell'avamposto ai confini con la Cambogia, anche in questo Nordest, lentamente ma inesorabilmente, tutto è saltato. I legami familiari, la conservazione del territorio, il ricordo del passato, il rispetto di se stessi. Tutto è saltato e, come la notte di quell'avamposto è illuminata in modo inquietante dalle luci dei bengala, così la notte di questa distesa di asfalto e palazzi senz'anima, è illuminata dalle luci intermittenti dell'infinita teoria dei capannoni.
Il Nordest è una Los Angeles che parte dalle montagne sopra Trento, scende giù verso il piccolo Friuli, abbraccia Udine e Pordenone e si allarga verso il Veneto, ingloba Treviso e corre verso Venezia e Padova e Vicenza e Rovigo.
Non finirà mai di allargarsi.
Quel territorio è vivo. Ma è vivo perché si ciba senza sosta delle vite e dei destini dei suoi abitanti.
Un libro.
Hai mai fatto parte della nostra gioventù?, di Massimiliano Santarossa (Baldini Castoldi Dalai).

sabato 2 ottobre 2010

Intervistato su Tumblr

Devo ammetterlo: Tumblr mi piace. E mi piace molto. Lo considero un interessante blocco per appunti, una sorta di moleskine digitale, sulla quale annotare tutto quello che colpisce la nostra attenzione, senza i rigori (necessari) di un blog o la velocizzazione del microblogging. Tumblr è la miglior vetrina della cultura pop che esista attualmente (e come cultura pop intendo tutto quel suggestivo mix di citazioni colte, immagini, pensieri e link che trova su questa piattaforma la sua consacrazione). Insomma, anche noi, come dei piccoli Bruce Chatwin, dipingiamo sui nostri tumblelog i colori del paesaggio della nostra personalissima Patagonia.
Giacomo Alfredi mi ha intervistato sul suo tumblr. E lo ha fatto con questa dichiarazione programmatica che condivido in pieno: Per me non esiste la comunità virtuale. Esiste la comunità che, attraverso l'utilizzo anche del canale virtuale, comunica  e condivide.
Il post originale lo trovate qui.




Di cosa parla il romanzo?
Quando ho cominciato a pensare a Notte di nebbia in pianura, la prima cosa che si è presentata alla mia mente sono state le voci dei personaggi. Voci che si sovrapponevano, che agivano su diversi piani di tempo e di spazio, che raccontavano del loro presente alla luce del loro passato. E queste voci si sono lentamente sedimentate in una serie di storie che, apparentemente separate, hanno trovato un denominatore comune. E questo denominatore comune è appunto una fredda notte invernale di nebbia fitta. Una notte di nebbia dove ognuna di quelle voci si troverà, ad un certo punto, a fare i conti con la tragica banalità della propria vita.
I Social Media rappresentano un cambiamento fondamentale nel modo di comunicare. Il loro utilizzo quanto influenza (se influenza) il tuo pensare da scrittore?
Certamente questo universo di partecipazione, di condivisione, di trasferimento di contenuti, ha senz’altro provocato una certa mutazione nelle nostre vite. Fa ormai parte del nostro vivere quotidiano. E, oserei quasi dire, per chi scrive, una presenza attiva in rete è ormai un’esigenza che non si può eludere. Il mio pensare da scrittore non è stato influenzato da questo modo di comunicare. Anche perché tengo separati i due momenti: quello della creazione attraverso la scrittura e quello della mia presenza sul web. Nel secondo caso tendo a privilegiare la condivisione di contenuti legati ai miei interessi e ad evitare una qualsiasi forma di autopromozione che potrebbe risultare fastidiosa. Ecco, il web, i Social Media mi hanno insegnato questo: se vuoi far conoscere i libri che scrivi (una cosa del tutto legittima) devi produrre innanzitutto contenuti interessanti e condivisibili dagli altri, legati ovviamente ai tuoi interessi. Se poi, apprezzando questi contenuti, qualcuno si incuriosisce anche ai miei libri, ben venga.
Si sente un gran parlare dell’ebook. Che ne pensi?
Negli Stati Uniti le vendite dei libri, nello scorso Natale, hanno visto per la prima volta l’ebook prevalere sul libro cartaceo. Quindi l’ebook è una realtà. Mi pare si aprano due ordini di problemi. Uno è legato al rapporto fra autori ed editori. E credo che questo, più o meno, resterà inalterato. Abbiamo sempre avuto una grande editoria che bada molto alla quantità, una piccola e media editoria che bada alla vivacità culturale e poi il tipografo che ti stampa le cento copie che poi venderai agli amici. In questo senso credo che le cose non cambieranno. Avremo sempre una grande editoria che vorrà soprattutto fare cassa, una piccola e media editoria che cercherà di trovare nuovi e bravi autori e il singolo che si autoprodurrà l’ebook per poi venderlo in prima persona a chi lo segue sul web. La cosa interessante è che, se questo singolo è un autore veramente bravo e con un forte seguito in rete e con la capacità di autoprodurre un ebook di qualità, potrebbe anche avere risultati molto buoni. Superiori forse anche a chi vedrà il proprio ebook gestito da una piattaforma legata ad un editore. L’altro ordine di problemi è quello relativo ai contenuti. E’ in corso un interessante dibattito in rete proprio su questo. In sostanza si dice: l’ebook non può essere la semplice trasposizione digitale di un libro cartaceo. Necessita quindi di contenuti nuovi, connessi ad una sua evetuale ipertestualità e alla possibilità di essere una sorta di work in progress creato dalla collaborazione autore/lettori. Forse è questa la vera frontiera. Non saprei però dire se questa sarà ancora letteratura, almeno nel senso che intendiamo oggi.