giovedì 3 febbraio 2011

Guardando Il Divo

Una processione di grosse berline ministeriali blu. Giacche scure, cravatte anonime, portate su camicie rigorosamente bianche. Occhiali dalle spesse lenti da miope, con la montatura pesante e squadrata. Mani giunte e sguardi di sofferente e compiaciuta condivisione del mistero. Del mistero del potere. Le foto in bianco e nero delle pagine di cronaca politica de L'Espresso ci hanno, per tutti gli anni Settanta, Ottanta e per la prima parte dei Novanta, presentato settimanalmente questa ostensione del potere, questa manifestazione dell'esercizio del potere, questa ritualità reiterata. A volte solo l'arte può sondare e indagare tra le fondamenta del Palazzo di pasoliniana memoria (penso a Sciascia, tanto per citare un nome fra i tanti).
Ieri sera (su La7) ho visto Il Divo, di Paolo Sorrentino. E, guardando questo film curioso e interessante, ho scoperto che la nostra storia, la storia recente della nostra nazione, può essere raccontata solo attraverso le immagini oniriche di Elio Petri (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Todo Modo), quelle rigorose di Francesco Rosi (Il caso Mattei, Cadaveri eccellenti), quelle didascaliche di Giuseppe Ferrara (Cento giorni a Palermo, Il caso Moro).
Paolo Sorrentino fa tutto questo. Il suo lavoro richiama, in qualche modo, tutte queste immagini. Ma le reinterpreta con tocco da maestro e ne fa la fonte ispiratrice di un'analisi impietosa, di un'allegoria del potere e le avvinghia ad una colonna sonora dall'ironia sanguinante, che ci fa capire come la narrazione della tragicomica e recente storia nazionale vada condita con un po' di irridente, doloroso e (soprattutto) doveroso sarcasmo alla Renato de Maria (Paz!) e alla Guido Chiesa (Lavorare con lentezza).
Sorrentino è perfettamente conscio che la nostra storia patria, i suoi riti ridicoli, i suoi misteri inquietanti, vivono da sempre in quella linea d'ombra dove il confine tra la ragion di Stato, l'interesse personale e la gestione della cosa pubblica diviene così labile da risultare totalmente evanescente. E la sua genialità sta nell'aver dipinto questo stato di cose per mezzo di una trasfigurazione quasi caricaturale dei suoi protagonisti; caricatura che però, al contatto con il divenire storico, perde lentamente il suo carattere allegorico dimostrando di essere la realtà stessa.
E questo è il dramma senza rimedio che, da sempre, caratterizza la nostra storia.

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