giovedì 21 aprile 2011

La Francia di Vichy, di Henry Rousso (il Mulino)

Tante sono le zone grigie. Le zone grigie della storia che, a volte, sono indissolubilmente legate alle zone grigie dell'animo umano. Sono attratto da queste aree inquietanti, dove il divenire dei fatti si mischia alle nostre personali meschinità (tante) e ai nostri personali eroismi (pochi). Ne avevo già accennato qui.
Non è semplice analizzare l'anima di una nazione. Specialmente quando quest'anima si dibatte, appunto, tra meschinità ed eroismo.
Henry Rousso, con questo agile saggio, non ha paura di entrare in uno dei momenti più oscuri della storia francese. Se la nostra storiografia (anche quella di derivazione giornalistica, penso a Giorgio Bocca) ha, in parte, tentato di fare i conti con quel ridotto di lugubri passioni che è stata la RSI, credo che la storiografia francese abbia avuto più difficoltà ad analizzare l'altrettanto passionale e lugubre momento di Vichy.
I freddi dati si uniscono e si confrontano con le personalità. Rousso ci regala un piccolo affresco di un periodo terribile nella sua banalità e banale nella sua accettazione del male.
Il tentativo di salvare una nazione si rivela, alla prova dei fatti, funzionale alla macchina nazista della repressione totale. Nonostante la presenza di una variabilità affascinante (dal punto di vista storico) ed inquietante (dal punto di vista umano) di posizioni: pétainisti reazionari ma antigermanici, vichysti tiepidi, miliziani filonazisti e ferocemente antisemiti, pétainisti e vichysti che, consapevoli della complicità con l'orrore nazista, ad un certo punto passano alla Resistenza (un caso su tutti, quello di Mitterrand).
Se noi ci portiamo dentro la tragedia dell'otto settembre e della Repubblica di Salò, con il loro nauseabondo mix di farsa e di morte, non è che la storia francese di quel periodo ne esca meglio. Forse, l'affermazione di De Gaulle come leader totalmente e incondizionatamente antinazista (non priva comunque di duri scontri e feroci incomprensioni con le altre forze politiche francesi e non così immediatamente accettata da tutti) è riuscita a far dimenticare gli aspetti più deleteri del collaborazionismo francese. Oppure sono gli equilibri internazionali dell'epoca ad aver fatto la differenza. Con il maresciallo Pétain, che irrealisticamente e con la Gestapo in casa (e con le sue forze di polizia che con essa collaborano nei rastrellamenti e nelle deportazioni degli ebrei), cerca affannosamente di dimostrare che la Francia di Vichy è comunque neutrale, tengono i contatti gli Stati Uniti che, pur in guerra con la Germania nazista, continuano a mantenere un ambasciatore a Vichy fino al 1942 inoltrato. Lo stesso governo di Vichy tratta con gli Alleati, dopo lo sbarco in nordafrica, pur avendo rotto i rapporti diplomatici con la Gran Bretagna sin dal 1940.
Troppe sono state comunque le zone grigie. Troppi sono stati i compromessi e le complicità. Henry Rousso ha il grande merito di non essere mai reticente.
Un libro.
La Francia di Vichy, di Henry Rousso (il Mulino).

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