sabato 29 ottobre 2011

Il senso del lettore per le librerie

Le cose che si fanno il giorno prima sedimentano pensieri forse oziosi o inutili. Ma di questa inutilità me ne faccio scudo per raccontare.
Ieri passavo davanti a una libreria grande, su tre piani, con i neon dei suoi finestroni che buttavano la luce sullo scuro di un porfido asfaltato di un centro storico lombardo. Porte aperte, almeno tre, con i tornelli. Cubi pieni di libri, a segnare una scacchiera su un pavimento lucido di stanze 30 per 30, fasciate di scaffali. Libri, cartellini, prezzi. Tutto un po' alla rinfusa, come si addice a un bazar dell'abbondanza. Qualcuno che vaga perso in questi stanzoni, con il naso per aria, chissà perché? Al primo piano un grande bancone, di bar e aperitivi. Happy hour libresco senza libri ma di avventori che si affollano, forse immemori delle pagine che hanno intorno.
In un altro centro storico lombardo frequentavo tanti anni fa una libreria piccola. Aveva un'insegna illuminata. I due proprietari, marito e moglie avanti con gli anni, leggevano sempre e alzavano appena la testa dal libro per salutare gli abitudinari frequentatori. Era una libreria piccola, una sola stanza 5 per 5. Ma c'era tutto.
Buon fine settimana a tutti.

giovedì 27 ottobre 2011

C'era una volta Tuttilibri

Quasi un anno fa, intervistando Massimiliano Panarari a proposito del suo saggio L'egemonia sottoculturale-L'Italia da Gramsci al gossipparlammo tra l'altro delle differenze tra la televisione degli anni Settanta e quella di oggi. Se le differenze sono sostanziali, esiste tuttavia un punto fermo: paradossalmente oggi come ieri in televisione si parla di libri. Oggi l'approccio è ludico e orientato al coinvolgimento degli studenti (come in "Per un pugno di libri") oppure molto cool e quasi mutuato dall'esperienza dei blog letterari (come in "Cult Book").
Una volta invece c'era "Tuttilibri". Magazine che aveva una durata di circa mezz'ora, andava in onda al lunedì e fu condotto per anni da Giulio Nascimbeni, sostituito prima da Guglielmo Zucconi e poi da Raffaele Crovi. Con una veste essenziale e quasi scarna, caratterizzato da schede sui libri che presentavano un'originalità iconografica e una semplicità di impaginazione degna de Il Politecnico di Vittorini, "Tuttilibri" è stato un esempio di informazione culturale. Stranamente se ne trovano pochissime tracce in rete. Mi pare che nemmeno Wikipedia abbia una voce che si riferisce a questo programma e su YouTube c'è forse qualcosa, ma di poco significativo. Forse le Teche Rai spero conservino qualche registrazione. Sarebbe un vero peccato perderne la memoria.

martedì 25 ottobre 2011

Intervista a Teo Lorini

Teo Lorini vive e lavora in Svizzera. Ha pubblicato numerosi racconti in riviste e antologie. Scrive su "Pulp Libri" e su "Il primo amore".
Amori al singolare è il suo primo libro.


Teo, il tuo esordio letterario ti vede autore di un libro di racconti, cosa molto rara nel panorama editoriale italiano, specialmente riguardo alle opere prime. Qual è stato il motivo che ti ha portato a scegliere questa misura, che ti ha portato a camminare con questo passo?
È una misura che mi si è imposta spontaneamente. Non ho pensato al fatto che, mettendomi alla prova sulla misura del romanzo, avrei trovato più facilmente un editore. E forse, anche se l’avessi pensato, non sarei riuscito a scrivere queste storie in un altro modo, a ricomporle in un testo unico.
Peraltro, una volta che ho compiuto una selezione fra i racconti composti nell’arco di 4-5 anni, mi sono reso conto che il romanzo in un certo senso c’era. Vale a dire che, prese tutte assieme, quelle storie avevano una forte coesione, al punto da comporre un affresco unitario in cui il mio editore ha creduto e che (almeno a giudicare dalle recensioni di Amori al singolare) arriva anche ai lettori come una sorta di romanzo di formazione a tappe.

Una storia, un racconto, un romanzo nascono sempre coniugando una struttura e uno stile, una interiorità e una necessaria presa di distanza.
In Amori al singolare c’è un grande lavoro di struttura, di stile, una abilità nel distanziarsi dagli indispensabili motivi di ispirazione. Quanto c’è di te, nel senso dello scrittore, del narratore, in questi racconti?
È una bellissima domanda. Non saprei quantificare la ricerca stilistica che mi ha portato a trovare la voce di Amori al singolare. Quanto meno, non l’ho preventivata: ho sentito di volta in volta in che modo avrei dovuto raccontare queste storie per sentirle davvero mie. Così nella prima parte prevale un tono brillante. La voce che parla è quella di un laureando fuori sede, un provinciale inurbato ma di buone letture, alcune volte stranito e altre ferito dalla scoperta di un mondo – quello adulto – che sta arrivando ma che non lo entusiasma. Un trapasso da cui si protegge rovesciando la malinconia nel comico, come si riesce a fare a quell’età.
Nella seconda parte invece le cose diventano più serie, più amare, come purtroppo tende a fare la vita quando arriva il momento delle scelte e dei compromessi, in cui ci si può svendere oppure si possono pagare conti salatissimi.
Lì, mutando tutto, cambia anche la voce. Gocce, il racconto lungo che da solo compone la seconda parte parla di un distacco, è un requiem. Aveva bisogno di un altro tono e lo ha, per così dire rivendicato: via via che la storia mi si chiariva in mente, mi si chiariva anche il passo che avrei dovuto adottare per raccontarla con onestà. La cosa che mi soddisfa di più è il fatto che da questi racconti, apparentemente tanto ottimisti e virati (sin dal titolo) “al singolare”, e cioè a una prospettiva di forte soggettività, arrivi al lettore un’idea degli anni che essi raccontano, un sapore del tempo che abbiamo attraversato. Come narratore questo era uno degli obbiettivi a cui ambivo.

Come è nato l’incontro con effigie, l’editore che ha pubblicato Amori al singolare?
Andando con ordine, Amori al singolare è nato per merito di Matteo B. Bianchi. Conosco da tanto tempo questo scrittore generoso e pronto ad aiutare gli altri; penso che lui si sia letto quasi ogni pagina che ho scritto, lo ha fatto con enorme pazienza e ancor più pazientemente mi ha fatto capire cosa c’era di vero nella mia scrittura, cosa premeva per uscire. È stato lui a incoraggiarmi e a credere in me e a dirmi, un giorno freddissimo a Perugia, che i racconti che avevo scritto e che gli erano piaciuti erano ormai abbastanza per pensare a raccoglierli in un libro.
Il materiale di Amori al singolare ha circolato per oltre un anno e prima di approdare a Effigie, che mi ha pubblicato con un’attenzione e una cura che auguro a qualsiasi scrittore, ho ricevuto vari rifiuti per il motivo di cui tu parlavi prima, ovvero il pregiudizio di “scarsa vendibilità” che patiscono oggi le raccolte di racconti. Devo dire però che queste lettere mi hanno fatto piacere perché ogni volta, al di là del rifiuto pronunciato in nome di questa assurda dinamica, erano molto gentili, piene di apprezzamento e mi hanno sempre dato un grande stimolo ad andare avanti, convinto che prima o poi avrei trovato un editore abbastanza donchisciottesco da provarci. E così è stato!
Ho incontrato Giovanni Giovannetti, il mio editore, collaborando a “Il primo amore”: dal 2007 appartengo al collettivo che dà vita alla rivista (edita, per l’appunto, da Effigie). Mentre scrivevo i miei Amori e dopo, quando il dattiloscritto girava e mi arrivavano i rifiuti degli altri editori, mi guardavo bene dal dare i miei racconti a Giovannetti. Avevo dei grossi scrupoli, non volevo farlo sentire in dovere di darmi una risposta affermativa a prescindere, solo in nome della rivista a cui ci dedichiamo entrambi con la stessa passione. È stato un altro membro del collettivo a esortarmi affinché proponessi Amori al singolare anche a Giovannetti, cosa che ho fatto – come puoi immaginare - con mille cautele ed esortazioni a respingerlo al minimo dubbio. Dopo qualche mese Giovanni mi ha detto che mi avrebbe pubblicato e, siccome è una persona tanto appassionata quanto carica di umanità, mi ha scherzosamente riempito di rimbrotti e male parole per essermi lasciato frenare da tutte quelle cautele. Oggi spero di aver ripagato la sua fiducia.

Tu eserciti anche l’attività di recensore. Penso che possiamo trovarci d’accordo sul fatto che classificare la produzione letteraria in determinate categorie può essere considerato, a volte, controproducente; tuttavia, intravedi qualche elemento che possa accomunare la narrativa italiana contemporanea, in particolare la narrativa degli esordienti?
No. Non c’è un modo meno reciso per dirlo. Certo che ci sono generi, grandi famiglie, temi che vanno per la maggiore e così via, ma sono convinto che tutte queste categorie siano qualcosa di sovraimposto dalle stesse logiche (il mercato, la riconoscibilità, la vendibilità) cui si accennava prima e che con la letteratura non hanno niente a che fare. E infatti ogni tanto arriva una voce non identificata e non assimilabile che sbaraglia tutte queste posizioni ben definite e si impone semplicemente per la sua autenticità. Basterebbe citare l’esempio di Saviano, ma il suo non è l’unico caso. In che tipologia rientrano libri brevi ma folgoranti come quelli di Emanuele Tonon? Oppure l’afflato e l’ardimento de Il demone a Beslan, composto da Andrea Tarabbia, un narratore poco più che trentenne? Da lettore, prima ancora che da recensore, spero sempre che a muovere le critiche non siano schemi e schemini pretracciati sulla base di gabbie ideologiche e categoriali, ma l’autentica curiosità e la passione di chi si aspetta ancora qualcosa dal sogno che chiamiamo letteratura.

Chi, secondo te, svolge oggi la miglior funzione di scouting, di ricerca di nuovi autori: la cosiddetta grande editoria o quella media e piccola?
Non mi sento di dare risposte apodittiche perché non mi considero un esperto. Per quel che posso vedere, c’è la tendenza a demandare alle cosiddette medio-piccole il lavoro di scouting: Tonon pubblica con ISBN, Tarabbia ha esordito con Transeuropa e, tanto per citare un altro debutto notevolissimo di quest’anno, Viola di Grado ha pubblicato Settanta acrilico trenta lana con E/O. Già quindici anni fa d'altronde uno dei nostri massimi narratori, Antonio Moresco, ha potuto esordire grazie a Bollati Boringhieri dopo una lista di rifiuti impressionante. Però anche questa non è una regola assoluta. Saviano, ad esempio, ha trovato spazio nelle Strade Blu di Mondadori. Non mi pare una cosa da poco.

Le riviste letterarie online e i blog letterari hanno da tempo sostituito le classiche riviste letterarie cartacee. Che ne pensi del loro ruolo?
Forse non sono la persona giusta per questa domanda. Faccio parte della redazione di una rivista che sta in rete e nello stesso tempo si ostina a pubblicare su carta e a trovare (faticosamente) un posto in libreria. Non credo quindi che la rete abbia sostituito la carta, anche se in diversi ambiti la può supportare. Non lo credo nemmeno per i libri. La rete è un mondo affascinante in continua, rapidissima evoluzione. Le colonnine dei commenti ai blog che cinque o tre anni fa si snodavano per schermate e schermate, oggi sembrano desolantemente vuote. Gran parte di quel “dibattito” sembra essersi spostato su facebook dove si è trasformato, si è asciugato, riducendosi a commenti molto più sintetici (spesso non più di 4-5 righe). Twitter poi si impone proprio per la brevità dei post. Tra tre anni non è difficile prevedere che ci sarà qualcos’altro. La letteratura esisteva prima di tutto questo e sono convinto (magari con un pizzico di donchisciottismo) che oltrepasserà anche questo snodo.

Pensi che il fatto di doversi confrontare con il digitale, con nuovi strumenti di lettura come gli e-reader possa provocare mutazioni nello stile, nella scrittura?
Onestamente, fatico a immaginarlo. Però, per anagrafe e abitudini (ho con l’e-reader un rapporto meno che episodico) temo davvero di non essere il lettore più adeguato per questa domanda.

Credi che l’ebook possa essere un’opportunità per gli autori e gli editori?
Per ora direi che se l’e-book ha generato delle opportunità, lo ha fatto più per gli editori (penso alla guerra che i colossi americani stanno combattendo per la letteratura in rete) e forse meno per gli autori. So che ci sono scrittori, anche italiani, che producono libri direttamente in formato elettronico ma non mi sembra che per il momento questi testi arrivino davvero ai lettori. Mi danno più l’impressione di tentativi pioneristici, anche se certamente molto meritori.

Un’ultima domanda. Che consigli hai per chi ha il fatidico libro nel cassetto?
Crederci!

domenica 23 ottobre 2011

sabato 22 ottobre 2011

Recensioni, gratitudini, confusioni.

Ezra Pound fu spesso un disinteressato scopritore di talenti letterari i quali, una volta beneficiato del suo appoggio, gli voltavano le spalle. Sherwood Anderson fu il maestro di una generazione di scrittori americani, Hemingway, Faulkner e Scott Fitzgerald solo per citarne alcuni, i quali, più che altro, lo dileggiavano pubblicamente.
Ho letto da qualche parte che esisterebbe un sito di libri (credo negli USA) che si fa pagare per fare recensioni. L'editore o l'autore inviano libro e soldi, ma la redazione si riserva di recensire solo i libri che le piacciono. In caso contrario non stronca e si limita a non parlare del libro, tenendosi, come da contratto, i soldi. Una specie di roulette (russa?) dello scrittore. Sarebbe quasi da provare (come impresa economica, intendo).
Non lo so. Non ho capito se sto scrivendo dello stesso argomento.
Buon fine settimana a tutti.

venerdì 21 ottobre 2011

Engaging the reader. Editoria digitale ed ergonomia della conoscenza








Vi segnalo questo interessante workshop del prossimo14 novembre, organizzato dal Master in Professione Editoria dell'Università Cattolica. Un momento di incontro che va addirittura oltre l'attuale dibattito fra editoria cartacea/editoria digitale


Engaging The Reader. Editoria digitale ed ergonomia della conoscenza

L’organizzazione editoriale dei contenuti (testuali, grafici, fotografici, video, interattivi) sulla pagina è la strada maestra per lo sviluppo di prodotti – preminentemente testuali – che sfruttino a pieno tutte le potenzialità delle tecnologie digitali. Come creare testi in grado di incrementare la tradizionale esperienza di lettura mantenendone tutta la profondità?
Elaborare un luogo in cui la fruizione del contenuto avvenga in un contesto accogliente è ormai una priorità irrinunciabile per qualunque editore: dalla carta stampata allo schermo elettronico, l’esigenza di costruire interfacce gradevoli ed efficaci provoca una ridistribuzione delle risorse all’interno del processo produttivo chiamando ad una nuova centralità i comparti legati alla progettazione grafica ed editoriale del contenuto.
Non andiamo a caccia di una semplice multimedialità; quello che cerchiamo è una tecnica che si adatti alla natura della percezione umana e a cui l’utente non abbia bisogno di abituarsi per avere un’esperienza completa, naturale ed intuitiva. Cerchiamo una ergonomia della conoscenza.
Gli organizzatori: leggi qui.
Per iscriversi: leggi qui.
Partnership: leggi qui
Per scaricare il programma: leggi qui.

martedì 18 ottobre 2011

I ferri dell'editore, di Sandro Ferri (edizioni e/o)

Esistono percorsi che ci accomunano e che si snodano attraverso tempi e vicende parallele, come sanno esserlo solo le storie di chi ama i libri.
Ricordo lo stand delle edizioni e/o tra le stanze settecentesche del Castello di Belgioioso dove, nei primi anni Novanta, Guido Spaini ebbe il coraggio di far incontrare i piccoli editori (piccoli come struttura, non certo come capacità) con quel pubblico di lettori appassionati che letteralmente occupava ogni centimetro quadrato di quello spazio. Le edizioni e/o tuttavia già le conoscevo attraverso le pagine delle riviste letterarie che presentavano quelle due vocali come l'ideale incontro tra la letteratura d’occidente e quella di quell’oriente europeo nato dalla churchilliana Cortina di Ferro, e soprattutto attraverso le mie personalissime peregrinazioni librarie che mi portarono all’acquisto de L’incanto del lotto 49 e di Entropia, quel capolavoro e quel lento apprendistato di quell’autore che mai ho smesso di seguire. E poi grazie a e/o vennero anche le mie scoperte di Carlotto e Izzo, ma il mio ricordo è sempre quello di quei banchetti di libri travolti dalla folla a Belgioioso.
E' per questo che ho inteso I ferri dell’editore soprattutto come epifania di una posizione, quella dell’editore, che Sandro Ferri, con levità e con felice disperazione quasi salingeriana, riesce a dimostrare non contrapposta a quelle degli autori e dei lettori, bensì portatrice necessaria di mutua collaborazione. I ferri dell’editore non è un manuale e nemmeno una requisitoria, ma una esaltante e felice testimonianza (confessione, forse) di un uomo che ha amato e che ama la parola scritta, nella sicura condivisione di quel pensiero forsteriano secondo il quale l’umanità tutta è percorsa, sin dai suoi albori, dalla necessità di raccontare, di raccontarsi e di ascoltare. Raccontare, leggere, scrivere, pubblicare: innati e ineludibili modi di rappresentare l'umanità propria e altrui. Sandro Ferri entra nelle profondità della parola scritta e ne dà esempi che appartengono al nostro inconscio, ma che, attraverso la loro descrizione, vediamo affiorare anche in noi stessi. Come non condividere quella scoperta che leggere a Parigi non può (e forse non deve) essere come leggere a New York; come non rimanere affascinati da quei due modi di lettura che appartengono a tutti e che ci dividono in due emisferi comunque comunicanti: quello dell’Autore (che legge ovunque) e quello della moglie Sandra Ozzola per la quale la lettura non può che avvenire come momento ben delimitato e chiuso ad ogni altra interferenza.
I ferri dell’editore è il diario, dilatato in quel tempo forse eterno che appartiene a tutti gli appassionati del libro, di una esperienza totalizzante. Vorrei dire a Ferri che condivido in pieno quella amarezza che esprime sottotraccia. Ma sono sicuro che lo stesso Ferri sa per primo che quell’amarezza altro non è se non la caparbia volontà di andare avanti a fare libri. Sempre e comunque.
Un libro.
I ferri dell’editore, di Sandro Ferri (edizioni e/o).

venerdì 14 ottobre 2011

Tutta colpa di Tondelli, di Nicola Pezzoli (Kaos Edizioni)

Questo è un libro di qualche anno fa. Non ricordo nemmeno più come ne venni a conoscenza. Forse, girovagando tra gli scaffali di una libreria intelligente, ebbi modo di trovarlo. A volte, infatti, gli incontri con i libri sono pressoché fortuiti, legati a circostanze sconosciute. E mai come quello con Tutta colpa di Tondelli fu un incontro fortuito e foriero di utili considerazioni. Un libro che ci fa comprendere come nel mondo dell’editoria a volte si annidino personaggi che hanno singolari visioni del loro ruolo. Quando lo scrittore esordiente li incontra nascono situazioni dove il ridicolo tiene bordone al tragico e viceversa. Stregoni della cultura, improbabili venditori di elisir di lunga vita libraria degni del far west, istrioni editoriali, forse nemmeno buoni a vendere aspirapolveri. Anch'io, a volte, li ho incontrati e, per fortuna, sono scappato alla prima occasione. Alcuni ne incontro ancora oggi e li sento pontificare dai loro finti pulpiti dai quali rendono un pessimo sevizio all’editoria seria e di qualità e a tutti quegli editori che lavorano con fatica e dedizione. Solo che ho imparato a riconoscerli almeno da un paio di chilometri di distanza. Il tempo passa, la vita si accorcia, ma, se non altro, in certe cose si diventa più furbi.
Nicola Pezzoli ci racconta con ammirabile ironia la sua personale odissea fra estenuanti pressapochismi, tonitruanti imbecilli che si travisano abilmente da creatori di epocali svolte letterarie, uffici stampa dove regna il caos, presunti esperti editoriali che nemmeno un nosocomio fallito vorrebbe tra i suoi ospiti. Promesse assurde, lettere che si contraddicono, semplici psicopatici che si credono geni della cultura. Un milieu di tutto rispetto che potrebbe alimentare senza problemi la casistica di un manuale di diritto fallimentare. Cari esordienti, cari scrittori inediti: leggete Tutta colpa di Tondelli. Non vi sarà di grande conforto, ma, almeno, avrete una guida per evitare di trasformarvi, vostro malgrado, nei personaggi di un romanzo.
Un libro.
Tutta colpa di Tondelli (Viaggio tragicomico di un autore inedito nel mondo editoriale), di Nicola Pezzoli (Kaos Edizioni).

mercoledì 12 ottobre 2011

Wu Ming, Finzioni e il Libretto Rosa

Come ogni storia che si rispetti anche questa nasce da un manoscritto fortuitamente trovato su una bancarella, nascosto fra manuali dalle copertine funeree, copie di riviste ingiallite e feuilleton da poco prezzo.
Non so cosa possa essere. Un diario? Un racconto? Una confessione che avrebbe dovuto rimanere segreta? Non lo so e, forse, non lo sapremo mai.
Ve ne riporto integralmente il testo.

Le arterie di Buenos Aires confondono il tramonto color del sangue, che si stinge sui muri delle case, con la pampa senza fine dove il gaucho canta in onore dei generali che lo guidarono in battaglia.
Spesso ho pensato che il tempo fosse una indecifrabile farsa messa in scena da una mente divina troppo stanca e, come una statua muta, rimango qui a fissare l’eternità del nulla.
La melodia tanghéra di Gardel rinasce dalla morte del giorno, quasi a farsi ambasciatrice delle raffinatezze ottuse della notte nel quartiere Palermo, mentre eternamente attendo che l’A Bao A Qu possa compiere la salita della scala della Torre della Vittoria, a Chitor.
Il senso delle dita scorre a misurare la mappa dell’impero che definitiva ci invade, abbandonando al suo passaggio tracce che ci avvisano stancamente dell’invasione di Uqbar.
Come giovani eroi che lasciata la natia Scandinavia, fucina dei popoli, cominciano l’inesorabile conquista delle terre del Danelaw, così bussano alla mia porta i quattro Senza Nome e coloro i quali si fregiano delle Finzioni.
A me, indegno monarca che ebbe in dono un milione di libri per vedersene subito privare dall’ombra calata sulle pupille, pongono una domanda: di chi è la Biblioteca? Di tutti o di nessuno?
Io, che gli intrighi fortuiti della Lotteria di Babilonia hanno nominato giudice di questa disputa, so per certo che la Biblioteca è solo di se stessa e di nessun altro.
J.L.B.

martedì 11 ottobre 2011

BookAvenue Book Festival 2011

Sei un autore esordiente? Sei un piccolo editore? Allora il BookAvenue Book Festival è quello che fa per te. Tra i festival e le fiere letterarie spicca questa manifestazione che si svolge interamente sul web e che i suoi organizzatori definiscono come "il primo festival online delle letterature". E' infatti una città virtuale (con le sue vie, le sue biblioteche, i suoi chiostri, le sue piazzette) quella che ospita questa iniziativa. Sorta di Mantova-Torino-Belgioioso (tanto per citare tre luoghi di appuntamenti letterari), immersa tra i bit di facebook e twitter, che sono gli strumenti utilizzati per la condivisione degli interventi, dei commenti, dei booktrailers. Organizzato da BookAvenue, il Book Festival è alla sua terza edizione. Dopo il Prefestival (dal 26 settembre al 12 ottobre) si tiene, dal 13 al 16 ottobre, il Festival vero e proprio. Un festival letterario interamente online a dimostrazione che ormai la letteratura (in tutte le sue forme, cartacee e digitali) è una delle protagoniste indiscusse del web e della sua condivisione.

sabato 8 ottobre 2011

Storia della decadenza e caduta del potere d'acquisto del lettore

Oggi scopro, attraverso il twitter dello scrittore Luciano Pagano, che Einaudi ripubblica un'opera che, da tempo, mancava agli appassionati di storia. Si tratta di Storia della decadenza e caduta dell'Impero romano, di Edward Gibbon. Opera fondamentale per comprendere le dinamiche del passaggio dall'età classica a quella tardo antica. Ne esisteva un'edizione curata da Mondadori, una sorta di editio minor, nella collana Oscar. Edizione che però mancava di parti fondamentali. Una specie di reader's digest. L'edizione che Einaudi rende disponibile, nella collana "I Millenni", ha il costo di 240,00 Euro. Mi chiedo se tutto ciò abbia un senso. O, forse, la Einaudi, con tale edizione, vuole rivolgersi solo a biblioteche pubbliche o accademie che, peraltro, credo anch'esse stiano navigando in cattive acque economiche.
La acquisterò senz'altro, ma, come i rematori delle galere, mi riservo il "diritto di muguno".

Un nuovo libro di Marino Magliani (Amsterdam è una farfalla)
















Tra le e-mail che ricevo ne trovo una che Marino Magliani mi invia dalle coste dell'Olanda dove, tra il silenzio delle spiagge in riva al mare e il ricordo della sua Liguria, scrive e traduce. Iniziamo il nostro solito scambio di messaggi, si parla del più e del meno e viene fuori che ha scritto un nuovo libro.
Ediciclo è un editore che che ha creato un affascinante e curioso binomio fra narrazioni e bicicletta. La collana ciclopolis ospita libri che raccontano le città attraversate a pedali. Il mezzo easy ed ecologico della bicicletta permette di raccontare le città da un punto di vista del tutto nuovo. Ed è proprio in questa collana che esce Amsterdam è una farfalla: "Una città misteriosa e labirintica dove si ordiscono complotti e strategie, dove le biciclette giacciono arrugginite in cimiteri nascosti, dove i canali disegnano una ragnatela che intrappola i pensieri. Un eccentrico scrittore, un editore collerico, un'irriverente giovane donna e il suo cane breton l'attraversano in bicicletta, la guardano dall'alto dei suoi tetti e si perdono nel suo ventre sotterraneo a caccia di segreti che devono rimanere tali... perché Amsterdam è una farfalla."
Marino sarà in Italia tra la fine di novembre e i primi di dicembre e in quel periodo presenterà Amsterdam è una farfalla a Milano, con Gianni Biondillo.

mercoledì 5 ottobre 2011

Senza trauma, di Daniele Giglioli (Quodlibet)

Lo ammetto: provo un’insana passione per i libri che parlano di libri. Pertanto non potevo certamente restare indifferente nei confronti di Quodlibet che pubblica Senza trauma, di Daniele Giglioli.
Impresa titanica è quella di analizzare e classificare il presente delle narrazioni. È un magma incandescente che può improvvisamente solidificarsi o, altrettanto repentinamente, trasformarsi in cenere eterea.
Ciò che si esibisce con la veste della parola scritta spesso trascina con sé un futuro inesistente o va incontro a un passato irreale. La narrazione non ha mai un presente o, meglio, ha un presente così infinitesimale da renderlo non misurabile.
Daniele Giglioli si arma degli strumenti critici e analitici necessari e si lancia in questa impresa della quale comprende l’ineludibile necessità e l’inevitabile impossibilità .
Punti fermi ai quali fare riferimento, tuttavia, ne esistono. Dalla necessariamente confusa produzione letteraria contemporanea emergono elementi caratterizzanti. La prevalenza della letteratura di genere (la “paraletteratura”, definita così da Valerio Evangelisti), il romanzo storico, il noir, l’indefinibilità dei vari oggetti narrativi non identificati (gli UNO della wuminghiana New Italian Epic) rappresentano quel fiume carsico che traccia un minimo comun denominatore ben definito e non smentibile.
Sangue e feticci, sintomi indagati con la determinazione di un medico ottocentesco, autofinzioni e romanzo storico come veicolo di analisi del contemporaneo. Ecco le presenze che indicizzano questo attimo narrativo.
Attimo narrativo che Giglioli cerca di rendere più visibile, più discernibile, più riconoscibile.
Non è possibile (e nemmeno auspicabile, forse) giungere a una conclusione. Ma un punto fermo rimane. I narratori di questa scrittura dell’estremo, di questa narrativa del nuovo millennio, quasi obbedendo, consapevoli o meno, a un comando imposto dalla loro stessa ricerca di cognizione di ciò che sentono e vedono, non hanno, in questo momento, altri mezzi per tentare di fermare quell’infinito attimo che è il loro (il nostro) presente.
Una domanda però rimane inevasa in modo angosciante, lasciando aperta la porta a inquietanti confluenze borghesiane: siamo noi a narrare il nostro immaginario o è questo che, in ultima analisi, narra le nostre azioni e le nostre interpretazioni?
La risposta è senz’altro contenuta nel prossimo infinito attimo dell’incombente presente.
Un libro.
Senza trauma (Scrittura dell'estremo e narrativa del nuovo millenio), di Daniele Giglioli (Quodlibet).