mercoledì 27 giugno 2012

#Timira - Intervista a Wu Ming 2 e Antar Mohamed

Nella serata di lunedì 25 giugno, a Pavia, al circolo Arci Via d’acqua, di fronte al naviglio pavese, Wu Ming 2 e Antar Mohamed hanno presentato Timira, introdotti da Mauro Vanetti. Prima della presentazione ho posto alcune domande agli autori.

Qual è stata la genesi di Timira? Come è nata la vostra collaborazione?
Antar Mohamed. La nostra collaborazione inizia nel 2002. Lavoravo come educatore in una struttura psichiatrica e ho conosciuto Giovanni (Wu Ming 2) che era amico di un giovane che viveva là. Nasce proprio allora l'idea di ricostruire la vicenda di Giorgio Marincola, il fratello di Isabella, partigiano assassinato dai nazisti in quella che è stata l’ultima strage in territorio italiano, il 4 maggio 1945.
Nello stesso periodo Carlo Costa e Lorenzo Teodonio stanno lavorando alla storia di Giorgio Marincola e ne parlano a Giovanni. Giovanni me ne parla a sua volta e io inizio a cercare del materiale. Alla presentazione di Razza partigiana, nel 2008, Giovanni incontra Isabella e nel settembre di quello stesso anno inizia a intervistarla. Dai loro incontri nascono 30 ore di registrazione. Nell’autunno del 2009 comincia a nascere la struttura del romanzo. Purtroppo Isabella muore il 30 marzo del 2010. Dieci giorni dopo il funerale chiamo Giovanni per chiedergli che cosa si può fare di tutto quel materiale, di tutte quelle registrazioni. Giovanni chiama l’Einaudi che dà l’ok per andare avanti. Così nasce la nostra collaborazione che porta infine alla stesura di Timira, narrazione che ha in sé l’intento di raccontare la storia di Giorgio e di Isabella in un contesto più ampio.

In tutte le narrazioni che nascono dal collettivo Wu Ming ci sono intersezioni tra il passato e il presente che fanno nascere una sorta di passato/presente che è l’oggettivazione di quello che voi avete definito lo “sguardo obliquo”, quel ritorno al futuro per mezzo del quale il presente viene rivisitato e interpretato alla luce dei flussi storici. Inoltre prestate sempre molta attenzione al backstage operativo della narrazione, quei “titoli di coda” che non sono semplicemente un’aggiunta di note, ma una parte fondamentale della narrazione stessa che, per mezzo loro, prosegue su altri piani. In Timira come si collocano questi ambiti?
Wu Ming 2. Avevamo già deciso l’impostazione con Isabella. Non voleva che quello che stava nascendo fosse considerato come le sue memorie. Pensava che, inteso così, fosse un elemento poco interessante. Abbiamo allora infuso la storia in un presente narrativo che è quello del 1991/92. In quel periodo Isabella ha vissuto il ruolo di profuga in un paese, l’Italia, che allora stava vivendo una profonda crisi politica. Lei non era più stata in Italia dagli anni ’60 e quello che ritrova è un paese irriconoscibile e in questo senso andava raccontata la sua esperienza personale, la sua esperienza di donna in contesti storici e politici difficili. Tuttavia dovevamo andare in cerca di quelle intersezioni di segnali narrativi che possono illustrare meglio il presente attraverso il passato. C’era bisogno di altro. Trovammo grande forza nei documenti. Il lettore ignaro aveva necessità di pezze d’appoggio per capire quello che era stato il passato coloniale italiano. Così abbiamo inserito degli intermezzi documentali. E lentamente ci siamo resi conto che la storia riguardava non solo Isabella, ma anche tutti noi come italiani e che il romanzo non poteva essere scritto che in questo modo, intersecando il piano narrativo, anzi i piani narrativi, quello di Isabella, quello del figlio e quello di chi aveva raccolto il materiale, e il piano documentale.

Il 1991/92 a cui fate riferimento è stato, come avete detto, un momento di grande crisi politica per l’Italia. E non a caso è un periodo immediatamente successivo all’89, anno in cui, con la caduta della cortina di ferro, sono entrate in crisi appartenenze politiche che avevano segnato la storia europea di tutto il Novecento. Come si inserisce Timira in questo contesto? Come intende raccontare quel periodo di profonde mutazioni politiche e ideologiche?
Antar Mohamed. L’appartenenza era anche internazionalità e la crisi di quelle appartenenze ha fatto venire meno proprio il concetto di internazionalità.
Perché la storia di Giorgio Marincola esce soltanto nel 2008? Che cosa ci ha raccontato questa storia? Che la nuova realtà multiculturale è una nuova frontiera, è una nuova sfida. Ma una frontiera e una sfida che già erano presenti nella vita italiana. Giorgio e Isabella sono i primi meticci. L’Italia non ha mai voluto rendersi conto di essere stata meticcia. In questo senso Timira vuole essere una provocazione.
Wu Ming 2. In Timira abbiamo tentato di far capire che la società meticcia è una sfida complessa. Bisogna far capire che è una costruzione articolata, non è un pranzo di gala, non è sufficiente limitarsi ad essere d’accordo. Timira invita a fare i conti con quello che in noi è il sentimento della identità italiana, che è stato plasmato dal fascismo e dal colonialismo. In realtà ognuno di noi non può eludere il problema del fare i conti con paure e stereotipi. Non farci i conti sarebbe troppo semplicistico. Timira cerca di dimostrare la complessità del nostro passato coloniale e di far capire quanto di quel retaggio c’è ancora in noi.

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