domenica 26 agosto 2012

Intervistato da Francesca Mazzucato

Francesca Mazzucato mi dedica una bella intervista sul suo blog Books and Other Sorrows. L'intervista è qui.
Un grazie a Francesca e buona lettura!

venerdì 24 agosto 2012

Grandi successi per Errant Editions (e per "Adesso")

E' stata veramente una grande settimana di successi per gli ebook della collana Inaspettati/Unexpected di Errant Editions. Il gradimento dei lettori e i numeri di copie vendute sono stati una piacevolissima sorpresa. Il percorso errante dello spazio al racconto è stato premiato dai lettori. In particolare il mio ebook Adesso (che era già stato tra gli ebook della settimana e del mese su Ultima Books) si è classificato al primo posto nella top 10 di Narrativa di Net-Ebook, lo store online di Mediaworld, uno dei più importanti. Anche la versione frammento di Borges aveva un Tumblr (introduzione alla versione completa) è al primo posto della top 10 di Critica letteraria sempre di Net-Ebook.

giovedì 23 agosto 2012

Da Moby Dick all'Orsa Bianca, di Anna Maria Ortese (Adelphi)

L’ho detto spesso, ma, in questo caso, mi ripeto più che volentieri: mi piacciono i libri che parlano di libri. Nel caso di Da Moby Dick all’Orsa Bianca è forse riduttivo dire che è un libro che parla di altri libri. Anna Maria Ortese va ben oltre la semplice raccolta di saggi di argomento letterario per arrivare a una vera e propria summa di quello che è il suo rapporto con la scrittura, la letteratura e l’arte. Quello che la Ortese descrive non è solamente la relazione naturale che ogni scrittore ha con il mondo della parola scritta, bensì l’enunciazione quasi programmatica di un comune sentire, di una unione di sentimenti che permeano una intera vita, dove la letteratura e l’arte si trasfigurano in strumenti per capire (e, a volte, per sopportare) la propria contemporaneità e la propria esistenza.
Hemingway, Buzzati, Leopardi, Pratolini, Cechov, questi alcuni soltanto degli autori che la Ortese non si limita solo a descrivere o a rendere protagonisti di qualche “pezzo” di saggistica, ma che analizza nei loro aspetti più nascosti, più indifesi, facendoli evadere dal ruolo ingessato di icone letterarie per consegnarli alla loro umanità della quale, grazie alle parole dell’Autrice, diventiamo compartecipi.
Da Moby Dick all’Orsa Bianca è una testimonianza tranquilla, forte e forse anche un po’ rassegnata, di quella rassegnazione che non va intesa però come arrendevolezza, ma come energia. Ogni tanto c’è bisogno, nell’oceano dei libri, di qualche punto fermo, di qualche isola che ci permetta una sosta rinfrancante per poi riprendere il cammino, a volte confuso, delle letture.
Un libro.
Da Moby Dick all’Orsa Bianca, di Anna Maria Ortese (Adelphi).

venerdì 17 agosto 2012

Una bella recensione a Borges aveva un Tumblr @erranteditions

Esce un'altra bella recensione a Borges aveva un Tumblr. Una recensione che si pone in perfetta sintonia con quelli che sono gli intendimenti di questo enhanced book.  L'originale è qui.


Pubblicato solo in e-book, questo scritto rappresenta l’inno alla letteratura digitale, da postare il più possibile sui social network.
Sì, assolutamente sì alla comunicazione intesa come post, perché offre al lettore la possibilità di interagire.
Tutto, secondo l’autore, si può trasformare in un post, dalla pubblicità, all’informazione, alla letteratura. Certo, anche alla letteratura, perché no?
Qualsiasi scritto potrebbe entrare in tutte le case, e in ogni scritto può essere contenuto un link, per guidare al lettore a una nuova lettura, una nuova notizia, una nuova idea. In questo modo, non ci sarebbero limiti alla diffusione non solo del sapere, ma anche dei pensieri, della trasmissione delle storie.
Come esempio, vengono raccontate in maniera molto concisa alcune storie che si prestano come spunto ad ampie e profonde considerazioni: un racconto di amore e guerra e una storia in cui si intravede uno zampino misterioso. Incredibile come l’autore riesca a trasmettere emozioni forti in poche righe. Proprio come se scrivesse un post, da diffondere, commentare, ampliare con commenti e altre notizie.
Non solo un libro quindi, ma anche l’invito ad un nuovo sistema di scrittura e quindi, di lettura. Da provare.

mercoledì 15 agosto 2012

L'eroismo dell'avamposto (turistico)

Oggi sono stato in Oltrepò. Una mezz'ora di macchina o poco più. Fino a Voghera è tutta pianura, la stessa delle mie parti, solo con meno acqua. Te ne accorgi per la mancanza dei fossi ai lati della provinciale, per la latitanza improvvisa dei canali d'irrigazione in mezzo ai campi, per la repentina comparsa di chilometri di tubazioni che devono portare l'acqua dal Po fino ai campi di cipolle, di patate, di peperoni, di grano. Niente risaie, niente mais, niente mare a quadretti. Passata Voghera, piena di alberi però, che fanno pensare a imminenti spazi di villeggiatura, quegli stessi alberi che dalle mie parti vengono rigorosamente tagliati perché farebbero ombra alle risaie e allora avanti con i tagli indiscriminati, con l'approvazione delle amministrazioni comunali, che tanto gli alberi fan solo ombra e l'ombra, si sa, non serve a niente, passata Voghera, dicevo, si va verso Rivanazzano Terme, parente forse più povera di Salice Terme e di Miradolo Terme, triade di provinciale vanto curativo.
Da Voghera a Rivanazzano è anche qui tutto uno stradone diritto. Ma in fondo, solo a un paio di chilometri, cominci a vedere la colline dell'Oltrepò, prodromo dell'appennino duro, quello di Varzi, quello del Penice, dove d'inverno i lupi van nei cortili a cercare quel cibo che sui monti sparisce, dove nel '44 c'eran le formazioni Garibaldi e quelle di Giustizia e Libertà (con i marconisti inglesi paracadutati di notte sui monti per dirigere rifornimenti e bombardieri che andavano a martellare la pianura tenuta dai tedeschi e dalle Brigate Nere) che assediavano i repubblichini e la GNR e che il 25 aprile del '45 arrivarono per prime a Milano.
E sullo stradone di pianura che collega Voghera a Rivanazzano vedo una piccola casa colonica. Sul davanti un ombrellone, a proteggere dai 34 gradi di canicola una piccola scelta di frutta e verdura, di barattoli di miele e confetture, confermati dal cartello scritto a mano "Prodotti tipici dell'Oltrepò". Avamposto solitario di future delikatessen appenniniche, questa piccola casa colonica mi è sembrata un avamposto partigiano, una solitaria ed eroica fortezza Bastiani che, al contrario di quella di Buzzati, i Tartari se li vede passare davanti, in moto e suv targati Milano mentre vanno a comprare quegli stessi prodotti più avanti, una volta arrivati nelle piazzette medioevali e montane dell'Oltrepò appenninico. Eroismo dell'avamposto solitario, ieri partigiano, oggi turistico.
Buon ferragosto a tutti.

martedì 14 agosto 2012

E con "Adesso" (Errant Editions) tiriamo un po' di somme editoriali

Beppe Severgnini ha scritto una volta che il vero giro di boa per gli italiani non è il capodanno, bensì il ferragosto. Allora, forse, è questo il momento per fare alcuni bilanci editoriali e letterari. Errant Editions ha da poco creato la collana Inaspettati/Unexpected, uno "spazio al racconto", una collana interamente dedicata al racconto breve. E' stata una scommessa. Sappiamo tutti come l'editoria italiana abbia in uggia la forma del racconto, a differenza dell'editoria angloamericana dove la short story ha una tradizione ben più che consolidata. Ebbene, la scommessa di Errant editions è stata ampiamente vinta. I racconti della collana Inaspettati/Unexpected hanno avuto un successo che è andato oltre ogni più rosea previsione. Non va dimenticato l'articolo di Piersandro Pallavicini che ha citato, a questo proposito, Errant Editions tra gli editori digitali che sono tra i protagonisti di questo rinascimento letterario.
Il mio racconto Adesso ha avuto l'onore di fare da apripista ai bellissimi racconti dei bravissimi autori di questa collana. Facciamo un bilancio ferragostano, allora, seguendo l'indicazione di Severgnini? Facciamolo.
Adesso è tra i bestseller più venduti della settimana e del mese di Ultima Books, uno degli store online più vivaci del panorama editoriale italiano.
Che dire? Non posso che ringraziare tutti i miei lettori e il mio editore e buon ferragosto a tutti!

A gran giornate, di Claudio Morandini (La Linea)

Bisogna dirlo subito: A gran giornate è un capolavoro.
Conosco la scrittura di Claudio Morandini, conosco il suo percorso letterario, conosco la totalizzante e sorvegliata efficacia delle sue parole. Quella stessa efficacia che si esterna in questo caleidoscopio letterario dove un inquietante scenario chimerico si sposa funambolicamente al divenire picaresco di una trama che apre piani narrativi che si amalgamano assumendo la forma di un raccontare originale e genialmente bizzarro.
Con A gran giornate Morandini rinverdisce e rivitalizza la tradizione del romanzo, di quel romanzo che prende le mosse dal Settecento inglese di Sterne per approdare ai Savinio, ai Landolfi, ai Celati, ai Cavazzoni.
A gran giornate è un monumento alla narrazione, ma non alla narrazione fine a se stessa, bensì a quella narrazione che ha il compito di rappresentare la nostra contemporaneità per mezzo dell’esaltazione della parola.
Morandini non mette certo in atto una struttura narrativa dedita alla fuga dalla realtà, anzi. A gran giornate, come i romanzi autenticamente grandi, diviene strumento per la comprensione dei tempi a noi coevi, e fa questo per mezzo di un efficacissimo filtro letterario che, proprio per la sua completezza incisiva, è più che mai adatto a onorare quello che è il compito del narratore: rappresentare i propri tempi attraverso la traslazione del sentire comune dell’umanità.
Ed è la traslazione di questo sentire comune che Morandini fa pienamente sua, dando vita a una storia che racchiude in sé il senso della vita e anche quello della morte. Per questo A gran giornate è un unicum narrativo. Un unicum narrativo che dimostra ancora una volta come per fortuna esistano narratori con la enne maiuscola.
Un libro.
A gran giornate, di Claudio Morandini, (La Linea).

domenica 12 agosto 2012

Le cinquanta sfumature di una colonizzazione culturale

Nelle ultime ore vedo le classifiche e gli store online ripieni di questa vera e propria invasione di cinquanta sfumature di nero, di rosso, di grigio e di qualsiasi altro colore faccia parte dell'arcobaleno. Leggo che è un'opera di E.L. James e non ricordo nemmeno chi ne sia l'editore. Ne vedo pieni i poveri scaffali dei poveri libri degli autogrill lungo le eroiche e molto postmoderne autostrade italiane, peraltro già strapieni sempre di libri di camillericarofigliofabiovolo. Ne vedo le vendite credo gonfiate (spero gonfiate) da operazioni a tavolino di solerti uffici stampa pieni di stagisti non pagati che devono in qualche modo vedere riconfermato il loro traballante contratto. Lo dico subito: tutto ciò è molto triste. Una nazione che già risplende per la sua mancanza di lettori risponde come un sol uomo all'appello del tutto anodino, e privo di alcuna valenza culturale, di un'invasione libresca che non ha alcun senso. L'editoria italiana, specialmente quella dei grandi editori, lo sappiamo, non fa da tempo alcuna ricerca culturale. La piccola e media, al di là di certi eroismi degni di nota, si nasconde dietro piccoli epigoni di Lenin che ci vogliono insegnare come si vive e poi non fanno altro che pubblicare anch'essi l'autore/autrice di grido, momentaneamente in libera uscita dalla grande editoria, o si trincerano dietro la riproposizione dell'autore angloamericano che fa sempre cassetta, specialmente se può fregiarsi dell'etichetta sempreverde di postmoderno, magari suicida.
Faccio un appello ai lettori italiani. Mandate affanculo queste cinquanta sfumature e, se proprio non avete il tempo di fare una ricerca della vivacità dei nuovi autori italiani, magari mimetizzati nelle nuove ed eroiche case editrici digitali, leggete per esempio il Marchese di Roccaverdina, di Luigi Capuana. Lì di sfumature letterare e psicologiche ne troverete a iosa.

venerdì 10 agosto 2012

Isabelle Eberhardt e il deserto-Intervista a Mirella Tenderini

Recensione e intervista di Giovanni Agnoloni
Mirella Tenderini:
(ed. Opera Graphiaria Electa)
La vita di Isabelle Eberhardt è uno di quei misteri che ogni tanto spuntano fuori dai cassetti della vita. E non lo dico soltanto perché, prima di leggere la biografia di Mirella Tenderini, non ne avevo mai sentito parlare (lacuna mia). È anche perché il percorso esistenziale di questa viaggiatrice del Nordafrica e scrittrice dalla mano felicissima, di origini russe ma cresciuta in Svizzera, è una successione praticamente ininterrotta di svolte e colpi di scena, e tanta parte resta ancora avvolta nel mistero. Vissuta per soli 27 anni a cavallo tra XIX e XX secolo, questa ragazza dall’acuta intelligenza, la spiccatissima propensione linguistica e un’inesauribile curiosità, sembra essere costantemente perseguitata da un daimon, uno spirito che la consuma e la costringe a spingersi sempre oltre.
Forse è la rigida educazione ricevuta dal precettore russo (Alexandre Trofimovsky), forse l’amore smodato per il fratello Augustin, altro personaggio tormentato e protagonista di itinerari contorti e spesso infruttuosi, ma soprattutto la volontà inarrestabile di inserirsi e inoltrarsi in un mondo – quello arabo – che la affascina come un rovello che non può accontentarsi di lasciar stancare.

Isabelle in costume siriano (da lailalalami.com)
Tutto questo la porta a dover assolutamente seguire il richiamo dell’Africa, che la farà schizzare ripetutamente verso il deserto e poi lontano dal deserto, tornando in Europa in genere più per necessità che per scelta: come quando nel 1901 viene espulsa dall’Algeria dopo aver subito un attentato, per sospette attinenze con alcune delle confraternite religiose locali, con conseguenze potenzialmente pericolose per le forze coloniali francesi. Salvo poi ritornare, guidata anche da successivi amori, l’ultimo dei quali per un soldato di origini arabe, Slimène Ehnni, che poi, sia pur malato, la raggiungerà in Francia, dove la sposerà in modo da permetterle di rientrare in Africa da cittadina francese.
Le avventure e i viaggi di Isabelle – annotati nei suoi interessantissimi Diari, di cui nel libro sono riportati vari estratti – continueranno, nonostante ripetuti attacchi di febbre, finché non sarà un evento raro e paradossale (come in fondo è stata tutta la sua vita) a portarla alla morte. Un’inondazione in pieno desertoalgerino, ad Aïn-Sefra; una piena di un antico fiume, essiccato da anni.
Di lei resta un ricordo ancor vivo presso le popolazioni della zona. Regione (e mondo) che Mirella Tenderini ha saputo scandagliare con grande sensibilità e profonda passione per il viaggio e le vite dei viaggiatori – ricordiamo, tra le sue precedenti opere, Vita di un esploratore gentiluomo. Il Duca degli Abruzzi (ed. Corbaccio) e La lunga notte di Shackleton (ed. CDA & Vivalda) –. Il risultato è un libro che, pur non essendo un romanzo, si legge come un romanzo. Perché certe vite superano qualunque immaginazione. È proprio questo il caso di Isabelle Eberhardt.
Intervista a Mirella Tenderini:
- La tua biografia di Isabelle Eberhardt è il frutto di un lavoro lungo e appassionato. Si percepisce, nella lettura, un approccio viscerale al tema, un autentico spirito da investigatrice. Com’è scattata, in te, la molla di questa ispirazione?
Isabelle dapprima mi aveva soltanto incuriosito. In quello che avevo letto su di lei mi aveva sgradevolmente impressionato una specie di compiacimento voyeuristico da parte degli autori per gli aspetti più torbidi del suo personaggio, che non mi convinceva e mi ha spinto a volerne sapere di più. Per mia fortuna sono capitata sul corpus dei suoi scritti – tutti gli originali, editi e inediti, di articoli, racconti, diari, corrispondenza – conservato negli archivi delle Colonie francesi, e mi sono buttata a capofitto nella ricerca di un’Isabelle che ero sicura dovesse essere diversa.

Mirella Tenderini (da letteraltura.it)
- Sei autrice di numerose biografie di personaggi avventurosi. In questa, in particolare, emerge con forza un senso di “fascinazione” per i particolari enigmatici della vita di Isabelle. Qual era il suo mistero, la radice dei tratti indefiniti o irrisolti del suo percorso? Qualcosa di attinente più alla sua vita privata o alle sue (supposte) attinenze ad attività di carattere spionistico? O una fusione di tanti diversi aspetti?
Parli giustamente di mistero. La vita di Isabelle è colma di contraddizioni e di misteri, alcuni dei quali non potranno mai essere svelati perché strenuamente difesi da lei stessa. La sua adesione all’Islam, per esempio. Isabelle si fa musulmana (attenzione: aderisce – non si può dire che si converte, perché lei non apparteneva ad alcuna religione), ma il suo comportamento non è certo quello di un bravo seguace dell’islam: beve alcol, fuma kif e ha rapporti sessuali scandalosamente liberi. Ciò nonostante è accolta come khouan, membro, in una confraternita sufi, una delle più importanti e autorevoli del mondo musulmano, e viene considerata con grande rispetto ovunque si presenti nella sua identità maschile di Mahmoud Saadi, studioso del Corano. Ma cosa Isabelle credesse pensasse e facesse in fatto di religione non si può sapere, perché non ha lasciato scritto nulla sull’argomento – non una singola riga. Un segreto, un mistero totale. Della sua vita privata invece si sa tutto, perché annotava tutto nei suoi diari, con sconcertante sincerità.
Sulla sua presunta attività spionistica posso assicurare con certezza che si trattava di semplici sospetti, alimentati dalla sua frequentazione di sceicchi e notabili musulmani da una parte e di generali dell’esercito francese dall’altra, e fomentati da malevolenze che lei non si curava affatto di dissipare.
- Il deserto è un elemento essenziale della vita di questa donna, che sembra perennemente in fuga da un passato familiare che la perseguita. Era una sorta di “kharma”, il suo? E perché amava tanto i paesaggi del Nordafrica?
Il deserto e un luogo dell’anima per chi lo ama. Lo è anche per me che da una trentina d’anni l’ho cercato, percorso, amato – con mio marito fino a poco tempo fa. È lì che abbiamo incontrato Isabelle. È lì che sono tornata per ritrovare Isabelle e scrivere di lei. Per Isabelle i paesaggi del Nordafrica erano la materializzazione dei suoi sogni. Forse anche un ritorno a un passato familiare immaginario – quello delle steppe della lontana Russia, mai conosciuta ma assimilata con tanta letteratura amorevolmente trasmessa dalla madre e dal tutore…
- Le lingue e i cambi d’identità (spesso si vestiva e si presentava come un uomo) sono un altro aspetto centrale del suo approccio alla vita: se dovessi tracciarne un profilo psicologico, che termini useresti?
Il travestimento è la manifestazione più evidente della doppia personalità di Isabelle. Lo praticava già da ragazza, a Ginevra, quando si vestiva da marinaio per frequentare con il fratello ambienti non proprio adatti a una giovane ragazza di buona famiglia… In tutti i suoi anni africani si è sempre presentata in abiti maschili e con nome d’uomo. Io credo che fosse il suo modo per essere libera, per sentirsi veramente libera: la sua massima aspirazione. Anche le lingue, frutto di studio intenso e di intensa applicazione, sono per lei uno strumento: parlare perfettamente arabo è indispensabile se vuole passare per un arabo studioso del Corano: non bastano certo un turbante e un mantello!
- Scrivere è un atto di amore e di profonda passione, come il tuo libro dimostra. Un’altra sua particolarità sono le citazioni tratte dai Diari di Isabelle, che evidenziano una penna felicissima, dalla grande raffinatezza letteraria. Questo insegna che il Viaggio è maestro in tutto, anche nella scrittura?
Che bella domanda: grazie! Certo che il Viaggio è maestro della Scrittura. Maestro e fratello. In entrambi c’è l’avvio, il percorso e la meta. In entrambi bisogna evitare di tergiversare, di addentrarsi in zone oscure, di perdersi. Bisogna adattare il proprio comportamento e linguaggio all’ambiente nel quale via via ci si addentra e bisogna osservare con attenzione le persone che si incontrano, per capirle e incorporarle nella propria esperienza. Questo vale per Isabelle e anche per me.
- Che traccia ha lasciato nella storia, e chi è per i più, oggi, Isabelle?
Le storie romanzate scritte su di lei hanno lasciato un’immagine un po’ confusa, temo. Nelle persone che ho conosciuto nel mio ultimo viaggio è rimasto il ricordo tramandato da genitori a figli per quattro generazioni. Però l’ho trovato soltanto lì, dove ha vissuto il suo ultimo anno di vita e dove c’è ancora la sua tomba. E lì Isabelle è un mito. Soprattutto per i giovani, ragazzi e ragazze, che vedono in lei un modello di coraggio e di libertà al quale vale la pena ispirarsi. È questo il messaggio che spero di essere riuscita a trasmettere nel mio libro…

giovedì 9 agosto 2012

American Dust, di Richard Brautigan (Isbn)

American Dust non è soltanto un romanzo. American Dust è soprattutto una confessione, una confessione profonda e drammatica come profondi e drammatici sanno essere quei romanzi che vanno oltre la semplice narrazione.
Scritto con lucida e disperata leggerezza, composto come una sorta di testamento narrativo, realizzato come la cronaca poetica di una formazione dolorosa, questo romanzo rivela un Brautigan che si è definitivamente spogliato del suo ruolo di romanziere legato a un certo modo di intendere la letteratura, per assumere quello di narratore totale, narratore che lascia ogni riferimento al suo ruolo nel mondo letterario per raccontare soltanto di se stesso.
E in questo raccontare, in questa analisi della propria formazione, della propria adolescenza, Brautigan va alla ricerca di quel fatto, di quell’elemento, di quel punto zero da cui si è originata la sua personalissima simbiosi (che è poi quella di ogni scrittore) tra esperienza di vita e narrazione.
Ma come i grandi romanzieri di razza, Brautigan non concede nulla all’autobiografismo. American Dust diviene così una sorta di trasfigurazione dello scrittore, in cui la sofferenza e il dolore assurgono al ruolo di strumenti creativi di una storia dove personaggi, dialoghi, luoghi e paesaggi disegnano un ideale paesaggio dell’anima.
Un paesaggio dell’anima in cui l’apparente linearità della scrittura nasconde in realtà un punto di deflagrazione nascosta, deflagrazione tanto più definitiva quanto più celata dalle parole e annunciata sommessamente soltanto dalla ricorrenza della frase “Prima che il vento si porti via tutto”, frase che ritmicamente appare nello scorrere di questa partitura narrativa.
American Dust va letto perché solo la sua lettura può contribuire alla comprensione dell’opera di Richard Brautigan, opera intesa nel senso più ampio del termine, quello appunto dell’insondabile rapporto tra narratore e narrazione. American Dust, pubblicato nel 1982, fu il suo ultimo romanzo.
Richard Brautigan si suiciderà due anni dopo.
Un libro.
American Dust, di Richard Brautigan (Isbn).

martedì 7 agosto 2012

Ecco l'incipit di "Adesso" (Errant Editions)

La pausa ferragostana incombe. Un intervallo che spinge a letture estive, siano esse cartacee o digitali. Immerso nella calura della pianura vi regalo l'incipit di Adesso, il mio racconto che ha aperto la collana Inaspettati/Unexpected di Errant Editions. Una collana che sta avendo un grande successo e che ha dimostrato il grande favore che i lettori hanno per la forma narrativa della short story.
Ecco quindi l'incipit di Adesso e buona lettura!


È difficile trovare un’altura da queste parti, eppure ora ci sto seduto sopra, proprio in cima. Adesso so chi sono. Mi è entrata della sabbia nelle scarpe, quindi deve essere estate. Non per il caldo, non per l’afa che mi bagna di sudore la camicia, non per le zanzare, non per l’odore stantio del riso che arriva dal mare verde delle risaie, ma per la sabbia. Quando ero piccolo la sabbia mi entrava sempre nei sandali e quando mi entrava nei sandali voleva dire che era estate. Adesso so chi sono. Lester, mio maestro, mio alter ego. Adesso so chi sono. Il lavoro è finito, il tempo è giunto, la missione è terminata. Lester, io sono qui, anche tu sei qui. Aspetto ordini. Da un po’ non ne ricevo. È terribile. C’è tanto lavoro da fare ancora. Accanto a me, infisso nella sabbia, c’è uno degli onnipotenti e onnipresenti schermi digitali della Porno Entertainment Television, conosciuta anche come Canale 0, che trasmette amplessi legali ventiquattro ore su ventiquattro per il bene della nazione, naturalmente conditi da dibattiti politici, a cui partecipano anche eminenti prelati della Chiesa Universale della Donna e dell’Uomo (Tutto per il bene della convivenza tra i popoli, è il nostro motto). Adesso so chi sono. Lester, aspetto ordini. Se sono qui ci sarà un motivo, dopo tante pratiche sbrigate, dopo tanti comandi eseguiti alla perfezione. Sono armato, Lester. Sono qui in cima, di notte, in mezzo alla sabbia e sono armato. Sento il freddo familiare dell’arma. Non è un’arma clandestina, ma un’arma d’ordinanza, un’arma ufficiale, un’arma che mi incardina nell’ordine. Come te, Lester. È notte, fa caldo, aspetto nuovi ordini. Adesso so chi sono.

sabato 4 agosto 2012

Addio a Renato Nicolini

Non so se la memoria dei ricordi vada seguita con analitiche valutazioni. Credo invece fermamente nell'affabulazione affastellante delle sensazioni.
Anni Settanta... circostanza temporale dal colore cupo o, forse, vivace. Rimembranza faticosa di adolescenziali inizi, di disarticolati tentativi, di embrioni di passioni che il futuro di una maturità disattesa ha cancellato.
Forse un juke-box estremo, a guardia di un ferragosto ligure, mentore di acerbe e irraggiungibili bellezze femminili e ossessivamente ripetitivo di un brano di Donna Summer o di Umberto Tozzi può essere esaustivo più di un saggio sul secolo breve. La PFM ritmata dalle bacchette di Franz Di Cioccio che fa a gara con la voce tenorile e forse un poco accusatoria di Francesco Di Giacomo del Banco, le camicie di lino e i jeans con i camperos, i comunicati delle Bierre, la facce sudate dell'eterno Ninfeo di Villa Giulia, le copertine della Bur di John Alcorn, la prime letture, la pianura soffocante di afa.
E poi il viso sghembo di un assessore alla cultura che inventa cose che colorano le pagine delle cronache culturali de L'Espresso e di Panorama e che ingigantiscono l'illusione di un adolescente che vive tra Piemonte e Lombardia e che si diverte a leggere le cronache letterarie e culturali con l'ingenuità di un Martin Eden di provincia.
Il ricordo è tutto qui.
Addio a Renato Nicolini.