martedì 14 agosto 2012

A gran giornate, di Claudio Morandini (La Linea)

Bisogna dirlo subito: A gran giornate è un capolavoro.
Conosco la scrittura di Claudio Morandini, conosco il suo percorso letterario, conosco la totalizzante e sorvegliata efficacia delle sue parole. Quella stessa efficacia che si esterna in questo caleidoscopio letterario dove un inquietante scenario chimerico si sposa funambolicamente al divenire picaresco di una trama che apre piani narrativi che si amalgamano assumendo la forma di un raccontare originale e genialmente bizzarro.
Con A gran giornate Morandini rinverdisce e rivitalizza la tradizione del romanzo, di quel romanzo che prende le mosse dal Settecento inglese di Sterne per approdare ai Savinio, ai Landolfi, ai Celati, ai Cavazzoni.
A gran giornate è un monumento alla narrazione, ma non alla narrazione fine a se stessa, bensì a quella narrazione che ha il compito di rappresentare la nostra contemporaneità per mezzo dell’esaltazione della parola.
Morandini non mette certo in atto una struttura narrativa dedita alla fuga dalla realtà, anzi. A gran giornate, come i romanzi autenticamente grandi, diviene strumento per la comprensione dei tempi a noi coevi, e fa questo per mezzo di un efficacissimo filtro letterario che, proprio per la sua completezza incisiva, è più che mai adatto a onorare quello che è il compito del narratore: rappresentare i propri tempi attraverso la traslazione del sentire comune dell’umanità.
Ed è la traslazione di questo sentire comune che Morandini fa pienamente sua, dando vita a una storia che racchiude in sé il senso della vita e anche quello della morte. Per questo A gran giornate è un unicum narrativo. Un unicum narrativo che dimostra ancora una volta come per fortuna esistano narratori con la enne maiuscola.
Un libro.
A gran giornate, di Claudio Morandini, (La Linea).

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