lunedì 1 ottobre 2012

Poethree. Una triade di nuovi poeti italiani

di Giovanni Agnoloni
da Postpopuli.it
Che cos’è la poesia underground? Come la musica e tutta la cultura underground, lo dice la parola, è un fenomeno “sotterraneo”. Viene allora da chiedersi: rispetto a che cosa? Certamente rispetto alla cultura accademica, ma anche alla produzione più strettamente “commerciale”. Ma, soprattutto, viscerale, di pancia, d’impatto. Dunque, ancora una volta, sotto, o meglio dentro.


da farapoesia.blogspot.com
Leggendo i versi di Luca ArtioliFabio Barcellandi e Andrea Garbin raccolti nella silloge POETHREE. New Italian Voices, edita da THAUMA, mi sono venuti in mente i poeti realvisceralisti de I detective selvaggi di Roberto Bolaño, specchio di quel movimento di avanguardia che fu l’infrarealismo messicano degli anni 70′. Queste valenze dilanianti e dissacranti sono ben evidenziati dall’introduzione del poeta irlandese Dave Lordan. Poi si passa alle poesie, tutte disponibili sia in italiano, sia in inglese. E qui vengono fuori le valenze emotive, i grumi/succhi di emozioni proposti da questi autori. E troviamo evocazioni di luoghi e atmosfere, mescolate a frammenti di memoria, come in Cartagena di Luca Artioli.
L’amore silenzioso
che sei, che posso darti,
è un bruciare di cera, dove
le stagioni a poco
a poco si annottano
di altri letti, come un segreto
da trattenere, quasi fosse un rito
o un debito dovuto alla poesia, che
nella pausa della fiamma
si acquartiera qui, a Cartagena:
un porto senza tempo, dove
colme si fanno le distanze e lucida
lucida è sempre la percezione della tua
prossima fuga.
Si passa poi all’essenzialità sospesa tra lo haiku e il koan di quel “Cecco Angiolieri postmoderno” che è Fabio Barcellandi, come in Bene o male:
Il male
non desidera il tuo
male
desidera che
s[t]ia male
come lui
il bene
desidera il tuo
bene
non desidera che tu
s[t]ia bene
come lui
Poi c’è come una pausa, il soffio di un respiro, e si passa all’andante intimo dei versi di Andrea Garbin, percorsi da fremiti d’inquietudine e da archeologie di suoni e altre percezioni, coniugati in sinestesie spiazzanti, come in Un pendolo:
È come il culo del silenzio
quel rintocco che odo ogni ora
a troncarmi il sono
un temporaneo istante di follia
che si muove prepotente
tra un sogno e l’altro
una spina che punge la notte
la costante percezione
dello sfinimento
quando il silenzio interrotto muore
e il botto infrange la quiete
io mi rattrappisco
lascio che l’udito mi avvolga
indicibile tormento
lascio che mi avvolga
disteso nel dolce giaciglio
osservo il lucido ottone
cercare silenzi
e ogni volta che ne trova uno
il suo grido si sviluppa
a torcermi il ventre.
Tre stili diversi, ma ben raccolti in una silloge che, come una sinfonia, comprende tre movimenti dall’anima affine, pur nella diversità di forme. Come a rivendicare una misura classica anche in ciò che, per sua natura, aspira a porsi all’avanguardia.

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