giovedì 10 gennaio 2013

Riviera (La via lungo l'acqua), di Giorgio Ficara (Einaudi)

Luoghi, territori eterni che si trasfigurano nell’eternità di una narrazione senza tempo. C’è un modo per essere liguri? E soprattutto essere liguri è un modo di essere o una vocazione?
Spazio che fonde tradizione millenaria e storia, sopravvissuto in qualche modo al turismo di massa da rapallizzazione anni Sessanta (termine coniato da Indro Montanelli nel decennio successivo, ad indicare l’ipertrofica speculazione edilizia che fiorì tra mare ed entroterra), la Liguria vive da sempre nelle parole dei suoi cantori, siano essi romanzieri, poeti o cantautori. Ne è nata (ma è sempre nata, quindi c’è da sempre, come ogni mito che si rispetti) una Liguria mitica e al contempo più reale del reale e che si disfa con il racconto della sua storia e delle sue ataviche fatiche, di mare e di terra, di qualsivoglia luogo comune.
Giorgio Ficara racconta, illustra, storicizza. Scrive della Riviera del turismo elitario e di quella del turismo di massa, di quella della tradizione, e della sua preziosa educazione, e di quella di oggi, che da quella tradizione ha saputo trarre insegnamenti senza tempo.
Riviera non è un bozzetto a uso e consumo degli enti del turismo. Riviera è un ritratto di quel luogo, vivente da sempre a mezzo tra un appennino incombente e un mare che a volte è benedizione e a volte invece tradimento sanguinoso.
Quanta storia esiste dietro il profumo del basilico? Quanta fatica senza tempo è nascosta in un cappon magro? Quanta eternità si cela dietro il profilo di un Ezra Pound o di un Max Beerbhom, che, incuranti eroicamente della loro fama, semplicemente vissero tra quel mare che promette e quell’appennino che smentisce?
Tanti anni fa mi persi nell’azzurro profondo degli occhi di un’esile ragazza, nel silenzio del mare senza tempo di Boccadasse. Giorgio Ficara me l’ha fatta ricordare.
Un libro.
Riviera (La via lungo l’acqua), di Giorgio Ficara (Einaudi).

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