sabato 25 maggio 2013

Il sogno. Raccontino (lumpen) tumbleriano in 5 atti

Visioni estreme di onirica condivisione mi portano al ricordo di un sogno che vagamente tento di appalesare in un evanescente ricordo scritto che comunque abbandona momenti decisivi in quella rimembranza verbale che soprattutto perde più che ottenere. Scelgo piattaforme decisive nella loro timeline eterna.
Il sogno. Il sogno 2Il sogno 3. Il sogno 4. Il sogno 5.


mercoledì 22 maggio 2013

Point Lenana, di Wu Ming 1 e Roberto Santachiara (Einaudi)

Un altro pianeta si aggiunge all’universo wuminghiano. Point Lenana nasce dall’intrecciarsi delle narrazioni dell’ellroyano Wu Ming 1 e di Roberto Santachiara, il comandante Heriberto Cienfuegos e come ogni oggetto narrativo che scaturisce dalla fucina del collettivo bolognese fonde piani narrativi, stilemi, temporalità storiche e ricerca di tutti quei segnali sottotraccia che combinano punti spesso sconosciuti che, uniti assieme in una ricerca che fa dell’infinito la sua cifra, esibiscono al lettore tracce di percorsi, di cammini. Tracce che portano verso vie poco battute e spesso sconosciute.
Certo, Point Lenana è, come affermano gli stessi Autori, luogo narrativo e narrante che prende in parte le mosse anche da Timira, ma non solo. Point Lenana diviene, nel corso del suo snodarsi, momento imperdibile di contaminazioni e di fusioni che sfociano in una metanarratività che dal racconto approda al saggio e che dal saggio procede verso mete che fanno scoprire al lettore pieghe celate e ripugnanti della storia della nostra nazione.
Point Lenana, nella sua affascinante dimostrazione che tutte le narrazioni sono sempre in qualche modo collegate, si trasfigura a sua volta in narrazione che vive di vita propria, trascendendo dagli stessi suoi artefici letterari, gli Autori, portando in superficie quelli che sono i veri artefici della narrazione, i protagonisti. Protagonisti di un’epifania storica di umana sofferenza e di incrollabile resistenza nei confronti di tutti i mostri che il sonno della ragione non ha mai, purtroppo, smesso di generare. E così l’intreccio, la fusione dei piani narrativi e temporali diviene simbolo di quell’intrecciarsi di accadimenti che mai hanno fine e che, spesso, segnano in modo indelebile destini di odio e di violenza. E in questo cammino, in questo percorso, in questa scalata verso la purezza della parola che si fa strumento di lucidità, Point Lenana non è la fine, Point Lenana è il principio.
Un libro.
Point Lenana, di Wu Ming 1 e Roberto Santachiara (Einaudi).

martedì 21 maggio 2013

Le rane, di Mo Yan (Einaudi)

Dieci anni sono occorsi a Mo Yan per approntare questo imponente affresco che dipinge la storia cinese degli ultimi decenni. Corposa e densa affabulazione di ricordi che l’io narrante semina nella narrazione, ricordi che lentamente tessono l’intreccio di questo romanzo che domina e doma il tempo, attraverso la tecnica dell’Autore che fonde piani narrativi e piani temporali nell’affluire delle rimembranze che da personali divengono di un intero popolo-nazione e che accolgono il filo sottotraccia delle mutazioni, spesso impercettibili ma sempre definitive, avvenute dai tempi dogmatici della Rivoluzione Culturale, dominati dal libretto rosso del Grande Timoniere, fino a una contemporaneità che ormai (con)fonde certezze marxiane con le partite doppie del capitale. Mo Yan agisce con le parole nel denso brodo primordiale della nazione cinese, da sempre fruttifera di contaminazioni, di contraddizioni, di riflessi misteriosi e misterici che nascono dal suo essere al contempo confine e incubatrice del mondo. Cina. Gigante estremo, a volte vittima a volte carnefice, lento nel suo incedere così come dinamico è ed è stato nelle vesti di laboratorio universale di miti, credenze, idee. Cina. Espressione non solo geografica ma portatrice di sensuali ed anche efferate esperienze, luogo narrativo e narrante che affascina e circonda nel suo abbraccio salvifico ma anche letale. Se nel XIX secolo nacque, in quella protesi comunque asiatica che è l’Europa (o l’Occidente, comunque), il mito della letteratura orientale, in special modo quella di derivazione indiana, è dai tempi di Marco Polo che la Cina è comunque vicina, tanto per citare Marco Bellocchio. E lo è in misura ancor più determinante in quanto oscuramente interprete delle nostre ossessioni letterarie (il Borges attento a certe misteriose e magiche immobilità estreme confuciane, più ancora che a certi erotismi ed esotismi da califfato di Baghdad), ancor più forse di quell’altro luogo narrativo e narrante che sono gli States, troppo diretti nel loro porsi di fronte a quella finzione che è più reale della realtà. MoYan costruisce, apparentemente circoscrivendolo alla tematica del controllo delle nascite da parte del governo cinese, un vero e proprio romanzo amniotico che funge, ancora una volta come è tipico della sua poetica, da laboratorio lussureggiante dalle cui provette prende vita il racconto degli aspetti fondamentali, immutabili e finali della storia dell’umanità, umanità intesa non come cifra spersonalizzata, bensì come somma di quello che ogni essere umano rappresenta e significa, nel più eroico bene come nel più detestabile male. Mo Yan, nelle vesti di conclusivo cantore di quella misteriosa e affascinante, ma anche a volte spietata e ripugnante, collettività che risponde al nome di homo sapiens, sa appellarsi, nel suo incedere narrativo, a tematiche che prescindono dalla spesso ineludibile opportunità delle epoche storiche, trasfigurandosi così, come è necessità del narratore che vuole essere poeta del tempo più ancora che dei tempi, in imprescindibile narratore dell’universo delle storie.
Un libro.
Le rane, di Mo Yan (Einaudi).

lunedì 20 maggio 2013

E Yahoo! comprò Tumblr

Ho scritto un piccolo manuale a uso degli scrittori che vogliono approdare su Tumblr (Viva Tumblr!), ho scritto anche un ebook che, in modo allucinato ed ironico, si ispira a Tumblr (Borges aveva un Tumblr). Ho anche un tumblr, ça va sans dire. Sono sempre stato convinto, e lo sono tuttora, che Tumblr rappresenti una delle più immaginifiche e interessanti manifestazioni della cultura pop, di quel sottotraccia che, come un fiume carsico, unisce storie, parole, espressività underground. Non mi ritengo assolutamente un esperto. Sono solo un dilettante che va in cerca del rapporto tra narrazioni e web. Ora Yahoo! acquisice Tumblr, in una delle tante fusioni tra major che hanno da sempre caratterizzato il mondo di chi gestisce le strutture di quell'universo parallelo che è la rete. Non faccio previsioni, non ne sono capace e non posseggo sfere di cristallo. Ma, come in gioco di specchi borgesiano, mi limito a constatare che Tumblr, da luogo di narrazioni, diviene a sua volta oggetto (protagonista? vittima? carnefice?) di una narrazione. Come direbbe Borges tutte le storie sono una sola storia.

sabato 18 maggio 2013

Torino e nuvole #SalTo13

Piove oggi a Torino. E' dalla prima edizione del salone del libro che ci vado (era il lontano 1988 e la si teneva al Valentino) ed è la prima volta che vedo così tanta pioggia. Fugace visita, la mia. Una volta si passava di stand in stand a fare collezione di cataloghi di case editrici, oggi vadassé (direbbe Luigi Veronelli) c'è l'internet e i cataloghi li scarichi e li consulti quando vuoi (sull'internet, of course) e quindi anche le mie visite son diventate tentativi di colpo d'occhio generale, tentativi di capire, dai visi e dalle posture dei visitatori, se il libro e la lettura hanno ancora ragion d'essere. Massì, dai, gli editori la loro figura la fanno, chi con fanfare e bandiere e chi con piccoli stand di resistenza editoriale, ma insomma ci son tutti, o quasi. Gli autori si presentano, parlano, discuton delle loro fatiche e anche loro la loro figura la fanno, e anche qui c'è chi si accompagna con fanfare e bandiere e chi si immola guardando ai posteri e alle loro ardue sentenze.
Transumanze di popolo letterario sfiancato dai chilometri del Lingotto se ne son viste. Insomma gli editori c'erano, gli scrittori pure, i libri anche, i visitatori anche di più. Forse quello che manca è la lettura. Ma a questa mancanza atavica delle italiche genti non c'è salone o fiera che possa, al momento, porvi rimedio (per la pioggia comunque, come rimedio, per oggi bastava l'ombrello).

giovedì 16 maggio 2013

Lo scrittore scalzo

C'erano una volta in Cina i medici scalzi. Non avevano frequentato scuole imperiali di grido, non erano di casa presso le dimore dei mandarini. Semplicemente giravano per le campagne prestando la loro opera in silenzio. Oggi uno scrittore indipendente, che non sia di casa presso grandi editori, che non rifulga della luce delle condivisioni artefatte della frettolosa attenzione dei luoghi digitali, che non venga citato dalla contemporaneità dei media, che non vada alle fiere letterarie è molto simile a quei medici. Gira anche lui per le campagne, portando all'attenzione del mondo i suoi pensieri, i suoi libri, i suoi ebook. E come un ragazzino che nella pianura delle risaie una volta andava a pescare le rane, così oggi lo scrittore scalzo si arma di pazienza, si ferma ad assaporare il paesaggio e getta la sua piccola esca, nell'attesa di quel felice momento in cui forse passerà un lettore con cui condividere pensieri e sentimenti.

mercoledì 15 maggio 2013

Il successo di Pinterest is a dream?

Pinterest is a dream? versione inglese del mio ebook Pinterest è un sogno? ha avuto un grande successo tra i lettori statunitensi. Qui le recensioni su Amazon.

La versione di Kindle di Padania Blues. La recensione di una lettrice

Una bellissima recensione alla versione di Kindle di Padania Blues. Ed è ancora più significativa perché arriva da una lettrice. Qui tutte le recensioni su Amazon.
Piccoli dettagli irrisolti o del tutto soluzionati e le nebbie della pianura sono quelle di ogni luogo nel mondo.Cattiverie inattese che scoprono il nervo di un’umanità falsamente ecumenica e mite.Bontà paradossali e non te le aspetteresti mai, chiuso nei confini provinciali dei tuoi archetipi padani.Schegge che si piantano sotto le unghie mentre cerchi di calmare la tua crosta dalla noia d’una puntura e ti risalgono al cuore lungo le vene.Acidi irrefrenabili che rivolano in succhi già compressi da un diligente e rassegnato Super-io; irritanti come lo è la verità svelata e inconfutabile a una ragione che suona di moneta.Ossimori fastidiosi che mitigano in dolci consuetudini. Negli argini di campi di riso, fuori dal tempo e dallo spazio ma dentro ad ogni luogo del ricordo in un “ovunque” atteso e un consueto “fuori-che-qui”.Logici, come di rado il genere umano.Belli.Racconti

martedì 14 maggio 2013

Tracce di Territorio, il messaggio di Gian Arturo Rota

Sabato 11 maggio si è tenuta la cerimonia di premiazione dell'edizione 2013 del Premio Letterario Nazionale Tracce di Territorio, di cui sono uno dei fondatori. Il premio è stato assegnato a Gian Arturo Rota e Nichi Stefi autori del libro Luigi Veronelli-La vita è troppo corta per bere vini cattivi, edito da Giunti/Slow Food Editore. Gian Arturo Rota non ha potuto essere presente e ci ha inviato questo significativo messaggio.

Buongiorno a tutti. Mi spiace molto essere assente. Me lo impedisce la coincidenza di data con un impegno personale non spostabile. 
Grazie a Tracce di Territorio e ai componenti della giuria.
 
Tracce di Territorio. Le due parole del nome mi suggeriscono questa riflessione.
Traccia. Mi soffermo, più che sul significato di impronta, su quello di "portarsi in un luogo" (espressione nata nel medio evo per indicare gli spostamenti nelle battute di caccia).
Territorio. Penso a Veronelli. In quanti luoghi (territori) - che lui chiamava terre, perché più circoscritte, individuali - si è portato? In molti. E gli piaceva camminarli.
 
Non credo di esagerare se affermo che ovunque si sia portato ha lasciato traccia.
Qui sì, nel senso di impronta; talvolta feconda, talvolta meno. A seconda di chi lo ascoltava: i contadini in toto, gli industriali no, o forse si, ma poi giravano la testa dall'altra parte.
In nessun caso tuttavia, tracce perse, perché ciascuna portatrice di un pensiero chiaro, preciso e, contro le logiche di massa proprie degli industriali, giusto.
 
Per il nostro libro, abbiamo recuperato un bel numero di tracce, quelle che segnano le istanze principali del vissuto veronelliano; e ci siamo ispirati al fondamento del suo disegno, la cui eco ancora risuona, oggi più che mai: la terra (il territorio) è centrale, "la terra è l'anima".
Gian Arturo Rota
Io e Nichi Stefi abbiamo accolto con gioia la notizia del riconoscimento.
Ancora un grazie agli autori e agli enti che ci hanno sostenuto. Arrivederci quindi alla prossima edizione.

sabato 11 maggio 2013

#scrittoriclandestini

Mi piacerebbe inventare qualcosa per tutti gli scrittori che non vengono recensiti. Per tutti gli scrittori di cui non parlano i blog letterari che fanno parte dei primi venti delle classifiche dei blog. Per tutti gli scrittori che non vengono invitati né in radio, né in televisione, né alle fiere dell'editoria. Per tutti gli scrittori che se fregano dei social network. Ma non so se ne avrò la forza. Perché comunque so che è tra di loro che si trova la letteratura di cui si parlerà tra cento anni. L'unica cosa è forse quella di adottare uno degli aborriti hashtag #scrittoriclandestini e postarlo a più non posso. D'altra parte, come dicevano Andreas Baader e Ulrike Meinhof, bisogna battere la borghesia usando i suoi mezzi. E quindi, miei cari #scrittoriclandestini, andate su twitter, citate il vostro none e il titolo della vostra opera e aggiungete il relativo hashtag #scrittoriclandestini.
La rivoluzione, quella vera, quella che metterà nell'angolo le camarille editoriali, è appena cominciata.

mercoledì 8 maggio 2013

Blade Runner, un film, di William Burroughs (Mimesis Edizioni)


Sublimi e deliziose imposture, destrutturazioni del romanzo moderno e postmoderno, tecnica del cut- up portata alle sue letterarie (e perciò definitive nel senso dello stilema borgesiano) estreme conseguenze. Vogliamo sempre sapere tutto di Burroughs, seminatore incessante di affascinanti posture narrative, affastellatore instancabile di definizioni che (ri)vivono incessanti nella leggenda della cultura pop, nella leggenda della cultura underground, angosciosamente vitali come i riflessi dissezionati degli esseri psichici (o psicotici) che popolano la base spaziale di Solaris.
Mimesis dà alle stampe questa sceneggiatura, questa zona letteraria temporaneamente autonoma, paradigma hakimbeyano totalizzante. E così come l’espressione Heavy Metal fu mutuata e lanciata nell’universo fonico proprio da produzioni burroughsiane, così Ridley Scott si innamora del titolo (Blade Runner) di questa manifestazione letteraria del grande beatnik (definizione comunque riduttiva per Burroughs) e ne enuclea il titolo applicandolo con copia incolla geniale (autorizzato, ça va sans dire, dall’Autore delle passate e tragiche esperienze tangerine) a quella che fu la consacrazione filmica di Philip Dick.
Caleidoscopio assoluto di allucinatorie espressività, grembo gravido di tutto ciò che nasce dalle correnti sotterranee della letteratura, congegno assoluto di enunciazioni nascenti dal subliminale e acido universo delle teorie del complotto alla Cointelpro, questa sceneggiatura-romanzo-racconto breve si staglia come una struttura reichiana che tutto comprende.
Molto prima dei postmoderni, molto prima di Leary, molto prima di contenitori clandestini come la Amok Press.
Seduto in una stanza disadorna al numero 9 di rue Gît-le-Coeur, Burroughs ci guarda con la stranita consapevolezza di chi ha conosciuto l’inconoscibile.
Un libro.
Blade Runner, un film. La sceneggiatura inedita di un grande scrittore di fantascienza, di William Burroughs (a cura di Riccardo Gramantieri), (Mimesis Edizioni).

martedì 7 maggio 2013

Di bestia in bestia, di Michele Mari (Einaudi)

C’è un fardello che ogni lettore porta con sé. È il fardello delle parole lette, delle parole condivise, delle parole che ne hanno dolcemente invaso l’anima. C’è un rifugio dove ogni lettore trova, forse, riposo. È il rifugio dei libri che ha letto, amato, odiato. È il rifugio della perenne biblioteca borgesianamente infinita, così come infinite sono le storie che vivono in quella biblioteca. Quella perenne biblioteca che ne ha lenito i dolori, le disperazioni. Quella perenne biblioteca che ne ha certificato le gioie.
C’è un passato nella memoria del lettore. Un passato che ne ha testimoniato il presente. Un passato fatto dei suoni delle frasi, del ritmo degli stilemi.
Come uno stemma araldico, segnatura definitiva di ciò che il lettore è stato, è e sarà, figure e visi, ghigni e posture di personaggi e autori vanno a costruire un bestiario metafisicamente medievale che come un santino o, meglio, un ex voto vive nelle segrete tasche di chi ha avuto commercio con le storie che vivono nei libri.
C’è una storia che è (deve essere, forse) tutte le storie. C’è una storia che racconta e si racconta con le parole di altre storie.
C’è (ci deve essere, forse) un libro che è tutti i libri. Un libro fatto di libri. Un libro che racconta il mostruoso piacere del perdersi nella lettura, del perdersi in quella contraffazione più reale della realtà che è la narrazione.
Memorie, echi, risonanze. Vestigia di Poe, Stevenson, Dickens, Mary Shelley. Simulacri divini e tragici che si trasfigurano in una chimera feroce e, al contempo, domesticamente assisa sul corpo stupito di un lettore onnivoro e divorato dall’eterna impossibilità della lettura.
Tutto è destinato inevitabilmente a passare sotto il giogo di quel mutamento che forse è morte, sconfinata entropia che tutto ingurgita e che è visione assoluta dell’universo.
Un libro.
Di bestia in bestia, di Michele Mari (Einaudi).

giovedì 2 maggio 2013

L'impronta dell'editore, di Roberto Calasso (Adelphi)

Sono sicuro che moltissimi di coloro che leggeranno questo post appartengono a quella schiera di frequentatori di librerie che, ogni volta che di una di esse varca la soglia, si reca immantinente ad osservare lo scaffale dai colori definitivi dei libri Adelphi.
L’impronta dell’editore è il libro che molti lettori delle opere di Adelphi aspettavano. Un libro che non dà solo risposte alle molte domande sull'universo editoriale, ma che, in modo elegante e fermo, pone alla nostra attenzione il punto di vista di un editore di razza come Roberto Calasso. Come nasce una casa editrice, quali ne sono gli elementi che la caratterizzano, quali sono le prospettive di un’editoria che vive mutazioni epocali e attese forse inquietanti. E, come una singolarità dalle particolari esigenze e dalle affascinanti prospettive, una casa editrice è non soltanto luogo di produzione libraria e culturale, ma vero e proprio essere vivente, portatore di desideri, di passioni, di sentimenti. Roberto Calasso racconta gli inizi di Adelphi, chiarisce quel misterioso rapporto che unisce i testi di una collana, quel comune sentire che si trasfigura in suono delle parole, in ritmo, in unicità. Quell’unicità che permea quei libri che riescono a vivere al di là dei loro stessi autori.
L’impronta dell’editore è l’ideale seguito di Cento lettere a uno sconosciuto e come tale è uno di quei libri che hanno la capacità di raccontare quel filo invisibile che tutto unisce nei libri, negli autori e nelle storie. 
Non soltanto saggio, ma anche testimonianza autentica sulla nascita di una delle più significative case editrici italiane L’impronta dell’editore può essere letto sia come un vademecum per comprendere tutto quello che volevamo sapere su Adelphi, sia come utile baedeker per capire gli scenari e gli sviluppi futuri dell’editoria. Ma soprattutto è un inno all'eterna immanenza dei libri.
E l’autore, dopo quel libro, sarebbe tornato a confondersi nell’anonimato. Forse perché non intendeva essere scrittore di un’opera ma perché un’opera (quel singolo libro) si era servita di lui per esistere.
Un libro.
L’impronta dell’editore, di Roberto Calasso (Adelphi).