venerdì 3 gennaio 2014

Americana, di Don DeLillo (Einaudi)

C’è un destino, forse, nel percorso che lega le opere di un autore. E se questo destino appare nella sua densa e stratificata misura fin dal primo libro, allora abbiamo a che fare con Don DeLillo.
Il viaggio che si compie percorrendo la produzione di uno scrittore risponde a leggi strane e in parte sconosciute che, a nostra insaputa, creano misteriosi disegni. Così come la trama a ritroso di Underworld anch’io, nel percorrere il mio personale viaggio con DeLillo, giungo infine al suo primo libro.
C’è stato un tempo in cui lo scrittore italoamericano lo si trovava edito da Tullio Pironti che, per primo, lo fece conoscere al pubblico italiano. Ma Americana era invece pubblicato dal Saggiatore, in base a quei misteriosi casi di trasferimento e acquisto dei cosiddetti foreign rights. Oggi DeLillo è pubblicato da Einaudi.
Ho iniziato il mio personale viaggio tra le parole di DeLillo anni fa, con Rumore bianco. Viaggio che ora mi fa approdare a questa sua opera prima così definitiva. Definitiva nella misura in cui presenta da subito tutte le sue ossessioni. Il suo voyeurismo descrittivo che lo porta ad essere osservatore del frenetico dibattersi delle vite dei suoi personaggi. La presenza costante dei feticci che circostanziano lo scorrere del tempo di una collettività che rimane basita di fronte alla propria incapacità di porsi domande. Lo stagliarsi inquietante di un paesaggio, mai veramente descritto, ma tuttavia sempre presente, che confronta metropoli (luogo di angoscianti strutture che incombono quasi senza vita) e deserto (zona di autodafé senza assoluzione alcuna). E poi l’affascinante commistione di segni stilistici, di installazioni artistiche, di performances totalizzanti che in Americana prendono le forme di una resa dei conti condotta con il mezzo della cinepresa, strumento di autoanalisi, per mezzo del quale l’io narrante coinvolge chi gli sta intorno nella creazione di un film che è, poi, il film della sua propria vita. La parola scritta a DeLillo già non basta più. Deve lasciare spazio alla commistione, alla contaminazione dei generi. La parola che si fa vettore di idee, di confronti, di narrazione nella (della) narrazione. Un gioco di specchi dove l’origine dei personaggi si perde e si trasforma lentamente in un riflesso di ricordi, di azioni, di assente corporeità.
Un riflesso che, alla fine, rivelerà il nulla che circonda la nostra società.
Non c’è scampo nei romanzi di DeLillo. Per nessuno e per niente.
L’ostensione del nulla della nostra contemporaneità è destinata a continuare.
Un libro.
Americana, di Don DeLillo (Einaudi).

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