lunedì 27 ottobre 2014

L'incipit de L'odore del riso, edito nella collana Officina Marziani della Antonio Tombolini Editore

Dopo Sette sono i re nella collana Officina Marziani esce un altro mio romanzo, L'odore del riso.
Vi regalo l'incipit.
Buona lettura!

Io so tutto di voi.
Io so tutto della geometrica perfezione che regola le vostre vite. 
Io so tutto della geometrica perfezione che regola quello che vi sta attorno.
Tutto è geometria. I quadrati e i rettangoli che sezionano la campagna. Li vedi dall’aereo. Ma non è necessario spingersi così in alto.
È sufficiente un campanile. Un campanile di una certa altezza. E in mezzo alla pianura ce n’è ben più di uno. Basta salirci su e guardarsi attorno. Guardarsi attorno verso tutti e quattro i punti cardinali. E allora la vedrai. Vedrai la serie infinita dei quadrati e dei rettangoli che disegnano i campi. Che creano i loro confini. Quadrati e rettangoli verdi, gialli, marroni. Piccoli, grandi. Ancora più grandi. È tutta geometria.
Anche le pareti grigie e lisce dei capannoni. Anche quelle, a loro modo, sono regolate dalla geometria. Anche gli immensi parallelepipedi delle logistiche sono regolati dalla geometria.
La pareti del mio ufficio quadrato sono verdi e marroni. Ne ho già viste di così. Verdi e marroni, sì. In un altro tempo. Un tempo lontano. Oppure in un’altra vita. Sì, mi piacerebbe fosse stata un’altra vita. Pareti verdi e marroni. Sporche, buie. A circondare e chiudere un pavimento sporco di grasso e di olio di macchina. Odore di benzina. Odore di bruciato. Che brutti scherzi fa la memoria. Sì, mi piacerebbe fosse stata un’altra vita.
E le villette poi. Tutte quadrate. Bilocali, trilocali, tutti più cantina e box. Schiere infinite di infinite villette a schiera. Marroncine, gialline, azzurrine, pallidine. Gliele vendi a un prezzo stracciato. E loro ci cascano. Tutti i disperati che se ne vengono via da Milano. Perché a Milano non ci possono più stare. O perché non hanno più soldi, oppure perché, persi nel niente della pianura, i carabinieri li trovano con più difficoltà. 
La pianura. Sì, la pianura. La pianura è come una troia. Come una troia che se ne sta lì con le gambe larghe. E tutti se la montano. Basta pagare. E il prezzo non è nemmeno tanto alto.
E certo che non è alto. Se sapessero che cosa ci buttano nel cemento. Tutti soldi futuri per gli avvocati. Tutti soldi futuri per le cause. Perché i muri sono così sottili che, se uno rutta o se ne va al cesso, tutto il vicinato lo sente. Ogni piccolo rumore, ogni insignificante movimento, sembra che per vicino hai una banda di percussionisti strafatti. E allora comincia il ballo. Pugni sui muri, gomme tagliate, litigate nel giardinetto di due metri per due. E poi arriva la rissa. Magari un coltello. E il gioco è fatto.
Che poi non è detto che le villette trovino un compratore. No, non è mica detto. 
Io lavoro per gli americani. Che l’America l’hanno trovata qui. Nella pianura.
Per loro l’importante è costruirle, le villette. A loro, in fin dei conti, non gli interessa mica di venderle. Gli basta costruirle. E sono contenti così. 
D’accordo. Anche un bambino capirebbe quello che c’è sotto. Soldi da piazzare, in qualche modo. Soldi da lavare. Però, chi se ne frega. Io mi prendo la mia paga. La mia percentuale. E tutto finisce lì.
Questi americani non li ho conosciuti negli Stati Uniti. No. Certo, tutti credono che l’America sia solo e soltanto gli Stati Uniti. No, io li ho conosciuti in quella del sud. Di America intendo. Li ho conosciuti proprio là. Dove c’erano le pareti verdi e marroni e il pavimento sporco di grasso e di olio di macchina. È là che li ho conosciuti. Tanto tempo fa. In un altro tempo. In un’altra vita. Forse.
Dovreste vederle le facce, quando si comincia a discutere dei terreni da edificare. Cedono in cinque minuti. Ti venderebbero anche la madre o la chiesa con il prete dentro, pur di far quadrare il bilancio. Il bilancio dell’azienda o quello comunale. Le giustificazioni le hanno già pronte. Non c’è nemmeno il bisogno di istruirli. La più bella che ho sentito è che tanto la pianura non è natura. La pianura così com’è, con le risaie e tutto, prima di Leonardo da Vinci, non esisteva. E siccome le risaie e i canali li ha progettati lui, al posto dei boschi che c’erano prima, la pianura va considerata un luogo industriale e non naturale. E quindi ci puoi costruire tutto quello che vuoi. Non c’è problema. No problem. E il terreno te lo vendono in cinque minuti.
Gli americani non credevano alle loro orecchie quando, in ogni comune che visitavamo, tutti quelli che contattavamo tiravano fuori questa storiella. E il bello è che la tiravano fuori proprio gli altri. Gli altri per primi. Mica gli americani. Poi si firmava tutto e si andava via tutti quanti felici e contenti.
Se tutti quelli che tenevamo chiusi tra le mura verdi e marroni fossero stati così malleabili, non avremmo dovuto mettere in piedi la struttura che abbiamo tenuto su per un bel po’ di anni.
È tutta geometria. È tutta potenza della geometria.
Io, dalla vetrina del mio ufficio, non ho altro da fare che guardare fuori. Sto qui, in attesa che venga qualcuno a chiedere i prezzi o le metrature. Ma anche se non viene nessuno è lo stesso. Agli americani basta averle costruite, le villette. E sono contenti così.
Tengo tutto chiuso. Fuori c’è un gran caldo. E l’afa sembra acqua. 
Vedo gli alberi di un viale. Uno dei pochi. Quando sono tornato, non mi ricordavo che qui gli alberi li odiano. Li odiano perché fanno ombra. E il riso e la meliga e il grano hanno bisogno del sole. 
Il sole che d’estate si mischia all’afa. Che si mischia al soffoco, come diciamo noi. E che fa venire fuori dalla terra quell’odore, quell’odore di umido, di stantio, di bagnato. Quell’odore che senti subito, appena passi il Po, venendo da Voghera, o il Sesia, venendo da Alessandria. È quello l’odore della pianura. 
È quello l’odore del riso.
Fuori è tutto deserto. Non c’è un’anima viva. Il peso del caldo afoso questi paesi li schiaccia tutti. Uno ad uno. Ogni tanto vedo passare qualche ragazzina. Conciata come una puttana. Che ride con qualche sua amica o che si fa palpare e mettere la lingua in bocca da qualche suo amico.
La pianura è una troia. Lo è sempre stata. Me l’ero dimenticato. 
Adesso sono tornato qui. 
E aspetto.
Io so tutto di voi.

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