lunedì 4 maggio 2015

Puttane assassine, di Roberto Bolaňo (Adelphi)

Per chi carica da sempre nel proprio database di lettore le parole, le opere, le ossessioni di Roberto Bolaňo questa uscita di Puttane assassine per i tipi di Adelphi non può che essere salutata con entusiasmo catartico. L’opera del grande cileno, che raggiunge livelli epici in quella manifestazione quantistica, atemporale, universale che è stata, è e sarà 2666, ha origini metaletterarie, oblique, affascinanti, traslate da quell’acido deserto tex-mex che si snoda tra il distrito federal, territorio narrativo di cupi tormenti che partoriscono anche l’immenso I detective selvaggi, e i prodromi di quella manifestazione malvagia, definitiva e iconizzata di quelle Ciudad Juarez e Sinaloa di satanici cartelli di narcos e di femminicidi sanguinosi che trasfigurano manifestazioni underground come la leggenda, forse più vera della finzione, degli snuff movies. Leggete Borges, leggete Cortázar ci ha sempre detto Bolaňo, per il mezzo di messaggi cifrati celati in interviste, saggi, recensioni, video antologizzati nell’archivio disumano di youtube. Luogo di introduzione alla scrittura bolaňiana, teatro rinascimentale della memoria, wunderkammer compendiata di ciò che Bolaňo sviluppò al di là di essa, Puttane assassine presenta, mostra, decifra al lettore quella magnifica e fatale, e omicida a sua volta, procreazione bolaňiana di storie, di ramblas assassine (come non pensare a Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di Joyce, a I dispiaceri del vero poliziotto, risma digitale incompleta trovata negli abissi postumi del suo pc e per questo ancor più bolaňiana), di citazioni misteriche, di letteratura pericolosa e clandestina, di tassonomie di autori, poeti e libri (spesso borgesianamente artefatti e per questo ancor più patrimonio di universalità di finzione che generano universi di realtà possibili, vedi La letteratura nazista in America) affastellati in una rincorsa verso la ricerca impossibile del libro mondo, di narrazioni assolute nella loro brevità, brevità a sua volta genesi di mondi letterari, come accade nella scrittura dell’aedo Borges. Bolaňo è demiurgo, creatore di un universo in cui i sistemi solari dei romanzi, delle fonti letterarie, dei poeti, degli scrittori, dell’underground magnifico e al contempo lussureggiante e lussurioso e terrifico e inquietante lasciano messaggi criptati che fanno intuire l’esistenza di una collettività di esseri narrati e a loro volta narranti, frutto di entità forse aliene operanti oltre lo spettro fisicamente conosciuto e conoscibile della letteratura degli umani. Puttane assassine è palinsesto rinascimentale raschiato il quale il lettore attento troverà tutte le ossessioni ripetute e divinizzate nel e dell'universo bolaňiano. Il racconto era di quattro pagine, forse lo scelsi per questo, per la brevità, ma quando l'ebbi finito ebbi l'impressione di aver letto un romanzo, così Bolaňo chiosa nel mistero infinito di questi racconti la mutante espressività definitiva e inquietante della parola scritta, messaggera di altrove ignoti che inviano dispacci di ribrezzo compressi nella consustanziale ostensione di materia oscura, che è al contempo onda e particella, che la sua azione di scrittore ha lasciato in eredità a noi, unità carbonio senzienti che ci riflettiamo in uno specchio senza respiro che segna le tracce di una consapevolezza di raccapriccio in cui artefici zoroastriani e gnostici ci mostrano la claustrofobica via per una salvezza che si è fusa in una fine che altro non è se non manifestazione estrema di quell’eterno principio che a sua volta è fine.
Un libro.
Puttane assassine, di Roberto Bolaňo (Adelphi).

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