martedì 29 dicembre 2015

Notte di nebbia in pianura. La recensione di Roberta Marcaccio


Notte di nebbia in pianura è stato il primo romanzo che ho pubblicato e per questo mi legano a questo libro un affetto particolare e anche i ricordi del mio esordio come autore. Questo blog prende proprio da lì il suo nome. Roberta Marcaccio ne scrive una magnifica recensione. Notte di nebbia in pianura è disponibile in versione cartacea per i tipi di Manni Editori e in versione ebook per i tipi di Antonio Tombolini Editore in cui, nella collana Officina Marziani, va a comporre, con Sette sono i re e L'odore del riso, la mia "Trilogia della pianura"
L'originale della recensione è qui. Buona lettura e Buon Anno!


La nebbia. La nebbia in questa terra. La nebbia che d’inverno ricopre i campi che d’estate diventeranno un mare a quadretti.Non serve a niente.Non ti ci puoi nascondere.Mai.
Dopo anni di corsi e lettura di manuali di scrittura, ho capito una cosa!
In scrittura non esistono regole. Non esiste uno stile. Non esiste un prontuario del giovane scrittore.
Quello che esiste è lo stile che ognuno ricerca e le regole che ogni autore fa proprie.
Sono rimasta colpita da libri che erano al di fuori da ogni canone letterario e dalla particolarità stilistica scelta dallo scrittore.
Come in Notti di nebbia in pianura, romanzo di Angelo Ricci, che ancora una volta mi ha catturata in una lettura noir per me insolita.
È una storia forte, dura. Una vicenda di vite spezzate, avvolte dalla nebbia.
Nebbia che ricopre, congela, stravolge, confonde.
Nebbia in cui si perde tutto: l’arroganza dello Sticazzi, il colore degli occhi di Svetlana, il cemento della tomba che ormai sarà tutto spaccato, la felpa di Ibrahim così calda, l’avvocato che vende opere d’arte a trecentonovantanove euro…
Le storie dei vari personaggi si snodano nella notte della Vigilia di Natale; sono vite apparentemente divise, le une dalle altre, ma allo stesso tempo accomunate dallo stesso clima e strappate alla stessa amarezza.
Lo stile di Angelo Ricci è ancora una volta unico, mi piace definirlo “uno stile al di sopra dello stile”: una scrittura in cui non esistono regole e la narrazione, anziché essere banalizzata, viene esaltata.
Vite come polvere.
Vedo la polvere che danza nel cono di luce che producono i riflettori. La polvere che adesso si stenderà piano piano su queste croste da poco prezzo e su queste povere suppellettili placate argento mille.Vedo la polvere che si agita attorno a noi.Che ci domina.Che ci governa.Che respiriamo.Tutti i giorni.Sempre.

martedì 15 dicembre 2015

Vermeer tra ombre e "colmo dei lumi". La fanciulla, la donna e il raggio fecondo, di Augusto Iossa Fasano (Aracne)

“Ci sono più cose in cielo e in terra… “ scriveva Shakespeare e in questo agile e utilissimo saggio veniamo a scoprire universi plasmati e celati dall’uso sapiente di luci e ombre, dalla significante allocazione di oggetti, di barriere, di figure che albergano mistericamente nella pittura forse enigmatica di Vermeer che, percorrendo la strada cifrata della simbolica cosmogonia che vive sotto la superficie dei dipinti dell’iconografia occidentale, semina flussi di ataviche e reiterate rimembranze di vita e di morte, di pace e di violenza, flussi pittorici che sottendono al flusso spermatico di inseminazioni che è punto Omega dell’incontro simbiotico degli esseri. Un costante feedback di informazione non genetica vive e palpita tra gli scenari (verrebbe da dire paesaggi umani) che nascono dal perimetro finito di questi dipinti, perimetro finito che tuttavia si schiude al perimetro infinito della informazione genetica. Così scrive l’Autore: “Tredici le opere attribuite a Vermeer con donna e finestra visibile, in altre quattordici la cornice della fonte luminosa non compare direttamente, ma se ne intuisce la prossimità. In totale per ventisette volte una donna si espone, pur ben coperta, alla luce che penetra da qualche apertura delle mura di casa”. Così scrive Bianca Tosatti nella prefazione: “I numeri parlano di gravidanze e inseminazioni, come nella geometria sacra in cui Tredici simboleggia l’eterna distruzione e creazione della vita. Ma Ventisette è un numero potente, prodotto da un quadrato per un cubo, e ventisette sono le opere in cui Vermeer espone una donna alla luce di una finestra (quadrato) che illumina una stanza (cubo)”.
Scopriamo così l’esegesi di una perenne annunciazione che ingravida la donna come eterno archetipo che trasmette la vita, una annunciazione che inizia addirittura nell’altrove degli umani, un altrove forse dominato da un demiurgo frutto di una gnosi apparentemente indifferente e tuttavia pregna della ricerca del significato ultimo delle parole e delle cose. La figurazione maschile, soldato o maestro o sapiente demone portatore di fascinose seduzioni, si pone più come ostacolo che come essenza di intermediazione carnale, ostacolo (con)fuso nella barriera di altri ostacoli (im)mobili, tendaggi o sedie o tavoli o credenze, ostacolo forse foriero di occulta e lacerante violenza, nella simbolica riaffermazione di uno spostamento virtuoso di confini raggelati dalla quotidiana, e per questo ancor più agghiacciante, concretezza del presente ma tendenti tuttavia all’incontro ineludibilmente necessario con l’infinita fonte di spazio tempo declinato dalla eternità di quelle particelle elementari, i fotoni, al contempo viventi sia come essenza sia come percorso compiuto dal messaggio genetico della luce.
Un libro.
Vermeer tra ombre e “colmo dei lumi”. La fanciulla, la donna e il raggio fecondo, di Augusto Iossa Fasano (Aracne).

martedì 1 dicembre 2015

Sette sono i re. La recensione di Roberta Marcaccio


Roberta Marcaccio scrive una bellissima e intensa recensione del mio libro Sette sono i re. E' un libro che mi è molto caro perché è stato il primo ad aprire la collana Officina Marziani diretta da Michele Marziani, una della collane di Antonio Tombolini Editore, collana che conta ormai ventun titoli. L'originale della recensione è qui. Buona lettura!


Immagini. Come pennellate su una tela.
Pennellate nere su uno sfondo grigio. Il grigio del fumo, delle strade, delle macchine, delle fabbriche, della città.
Sette sono i re è lo spaccato di una società marcia, il retroscena della nostra bella vita, quello che c’è dietro e non vediamo.
Le parole, sapientemente utilizzare dall’autore, trascinano il lettore in un mondo in cui gli odori, i colori, le case, la terra, le persone puzzano di merda e di morte. Una morte seminata a suon di proiettili. Dove il protagonista alterna i ricordi di un suo passato da guerrafondaio ad un presente in cui la guerra la fa perché c’è qualcuno che lo paga per uccidere.
Molto interessante l’alternanza fra passato e presente (fra i ricordi del protagonista e la vita attuale), caratterizzata da un passaggio armonico delle forme verbali. La lettura non inciampa mai, scivola fra presente e imperfetto con lucida facilità.
Sette sono i re è un romanzo nero, racconta di uno strato sociale depravato in cui i soldi girano a mazzette, i crimini si comprano come prodotti di un supermercato e gli uomini obbediscono agli ordini di altri uomini, per denaro.
Il protagonista è un uomo che ha visto il dolore, il sangue, ha vissuto la guerra, ma sembra non riuscire a separarsi dall’idea di morte che ormai fa parte della sua vita. Nel borsone che porta con sé ha armi micidiali, che non risparmiano e non perdonano. Armi che uccidono a distanze impensabili. Che folgorano un uomo a bruciapelo senza dargli neanche il tempo dell’ultimo respiro.
Io tengo il metallo del San Luigi sotto al giubbotto. Sento il suo freddo contro la pelle. Il freddo del metallo. Il freddo che, per miracolo, diventa incandescente quando incomincia a sparare. Per miracolo. Il miracolo di un santo.
Storia che ti trascina dentro la storia, raccontata con uno stile particolare. Frasi brevi. Cortissime. Di una parola o due. Parole scelte, una per una. Con un lavoro sapiente di cesellatura.
Parole semplici e frasi che si ripetono danno alla lettura un ritmo incessante, inesorabile, come una scarica di mitra.