lunedì 11 gennaio 2016

Le figlie degli altri, di Richard Stern (Calabuig)

Tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta va in crisi il mito della invincibilità degli Usa, impanatati militarmente nel Vietnam e altrettanto impantanati moralmente nello scandalo Watergate, percorsi da Summer of Love hippie e stragi della Manson Family, trafitti dall’allucinazione lisergica del profeta Timothy Leary e scossi da una rivoluzione sessuale a metà strada tra rinascita dei corpi e creazione di nuovi consumi da parte di corporation mediatiche che avevano fiutato l’affare del sesso libero. Ed è il crollo del mito di questa invincibilità che fa da sfondo alla educazione sentimentale del professor Merriwether e della sua giovane ed erotica allieva Cynthia. Ma non c’è nessun Angelo Azzurro, non c’è nessun professor Unrat all’orizzonte di questa vicenda, perché Richard Stern compone un grande romanzo sulla condivisione dei sentimenti, sulla difficoltà dell’essere genitori ed educatori, sulla difficoltà dell'essere figli, un romanzo che ricorda la grande stagione del romanzo ottocentesco, un grande romanzo sull’America. Non c’è nulla di letterariamente morboso in Le figlie degli altri al contrario della morbosità squisita, cercata e letteraria che troviamo in Lolita di Nabokov. Le figlie degli altri è l’affresco di una società pervasa da una secolare mutazione politica, sociale, quasi genetica, una mutazione che provoca crisi, febbri, travagli dai quali si intravede comunque uno spiraglio di cambiamento forse positivo. Atmosfere da New England, rivalità accademiche e ripicche da Heavy League, una famiglia descritta genialmente nel divenire di tutti i suoi componenti, una storia d’amore che nasce da una crisi coniugale in atto da tempo e il ritratto del protagonista maschile mai scontato, mai descritto banalmente ma sempre come artefice di un destino complesso e che, pur guardando al domani, mai potrà e vorrà dimenticare il passato. Scritto con potente levità narrativa, con piccoli intarsi che riconducono raffinatamente anche al romanzo postmoderno, in Le figlie degli altri troviamo tutta l’atmosfera letteraria dei Roth, degli Updike, ma corretta dalla dolcissima sensibilità umana dell’Autore, che mai condanna, mai assolve, ma sa presentare l’intreccio umano e insondabile che unisce le vite che si mettono geneticamente in gioco in quel grande e oscuro e tragico e magnifico luogo che è la famiglia. Come ne Le affinità elettive di Goethe, anche il professor Merriwether cercherà di interpretare il mondo con l’aiuto della sua formazione scientifica, nella consapevolezza tristemente gioiosa che i sentimenti a volte ci salvano, a volte ci feriscono, ma che comunque l’importante è viverli.
Un libro.
Le figlie degli altri, di Richard Stern (Calabuig).

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