martedì 18 luglio 2017

Perdere tempo su internet, di Kenneth Goldsmith (Einaudi)

Quando Paul Claudel installò nella sua casa una delle primissime linee telefoniche sembra che François Mauriac commentasse acidamente: “Ora dovrà correre a ogni squillo come un lacchè”. Come tutti i media elettrici anche il telefono comunque entrò nei romanzi così come il cinema, la radio, la televisione. Anche internet inizierà ad avere un suo posto nei romanzi, dapprima come protagonista di assolute visioni cyberpunk, e poi si adagerà nell'uso quotidiano dei personaggi dei romanzi come un banalissimo telefono. Se esiste un narratore che compone una vera e propria mistica del telefono questi è William T. Wollmann che nelle prime pagine di Europe Central  fa assurgere lo strumento di bachelite a protagonista della genesi della barbarie bellica del ventesimo secolo. Ma, al di là del temporaneo misticismo telefonico di Wollmann, soltanto la televisione, tra tutti i media elettrici, ha creato attorno a sé una produzione, soprattutto in veste di saggio, in cui gli umani utilizzatori del medium si domandano quale sia l'essenza di quel medium medesimo. E se, come afferma Marshall McLuhan, ogni medium contiene in sé tutti i media che lo hanno preceduto, internet, come e più della televisione, è oggetto e soggetto di una narrazione letteraria e saggistica che lo analizza, lo mitizza e lo maledice al contempo. Narrazione interpretativa del medium che avviene spesso utilizzando il medium stesso, in un gioco di specchi borgesiano dove alla fine la mappa del territorio si sviluppa in modo così ipertrofico e specifico da essere completamente sovrapponibile allo stesso territorio che intende rappresentare.
Sono i postmoderni che, nella sovrabbondanza narrativa volutamente cercata ed espressa con tonalità ridondanti e onnicomprensive, colgono l'occasione di fondere, con il mezzo della parola scritta, l'apparizione di più media possibili, e Don DeLillo è tra i primi a rendere protagoniste dei suoi romanzi installazioni e performance artistiche silenziose ma pregne di significante, nel tentativo letterario di gettare un ponte che unisca la multiforme varietà di piattaforme sulle quali si sviluppa l'espressività artistica degli esseri senzienti (Thomas Pynchon, altro maestro del postmodernismo letterario, darà invece, a terzo millennio ormai inoltrato, una sua lettura, come sempre tra l'agghiacciante e l'umoristico, del cosiddetto “lato oscuro” di internet in La cresta dell'onda).
Il titolo di questo saggio di Kenneth Goldsmith è volutamente fuorviante, così come volutamente fuorviante potrebbe essere una performance artistica che conduce lo spettatore/lettore verso confini che sono stati prima negati e poi invece palesati con sapiente ed esperta maestria, ma se pensiamo che Kenneth Goldsmith è sì poeta ma anche intellettuale avvezzo a frequentare l'arte moderna e contemporanea, che dai tempi della pop art usa fondere e contaminare i vari media, e a conoscere i tempi e i modi delle ibridazioni visive e narrative, ecco che tutto si spiega.
L'internet che Goldsmith celebra è strumento di comunicazione, di apprendimento, di circolazione di notizie vere e false, luogo in cui esprimersi a livello artistico e luogo che è esso stesso performance artistica e zona in cui il medesimo spaziotempo si ridistribuisce in fasi mai conosciute prima. Internet è creta da plasmare per creare, creta che nel medesimo istante in cui viene plasmata a sua volta plasma chi la sta plasmando, in un affascinante e inquietante rapporto quantistico che determina l'esistenza dell'osservato in quanto esiste un osservatore che, a sua volta, esiste in quanto esiste l'osservato.
Perdere tempo su internet non mitizza e non demonizza il medium, ma lo presenta in tutte le sue sfaccettature, positive e negative, immense e meschine, istituzionalizzate e fuorilegge. Un medium elettrico che per la prima volta non solo contiene in sé tutti i media che lo hanno preceduto, ma che li reinterpreta, li reimposta, li resetta e, cosa forse disumana ma tuttavia estremante seducente, reinterpreta, reimposta e resetta gli stessi esseri senzienti.
Un libro.
Perdere tempo su internet, di Kenneth Goldsmith (Einaudi).

lunedì 17 luglio 2017

La grande Blavatsky, di Francesca Serra (Bollati Boringhieri)

Un fiume carsico di dottrine esoteriche attraversa il diciannovesimo e il ventesimo secolo. Dottrine che si sono sovrapposte alle mode culturali di fine Ottocento derivate dalla scoperta del misterioso Oriente, dovuta anche all'espansionismo coloniale europeo, e che sono il naturale sviluppo delle teorie del complotto totalizzante che, così attive oggi forse ancor più di ieri, traggono origine dal tentativo di spiegare la rivoluzione francese in termini teologici e millenaristici compiuto dal gesuita francese Augustin Barruel. Quel fiume carsico che ha la sua fonte nel tardo Settecento inevitabilmente non può che ottenere afflussi ulteriori dalle teorie antisemite che si propagano nell'Ottocento per mezzo di libelli redatti ad arte dall'Ochrana, la polizia politica zarista, strumento poliziesco che lentamente affonda nel magma russo fatto di imperatori ormai incapaci di comprendere il proprio impero, di schiere immense di servi della gleba, di mistici violenti e viziosi che assurgono a ruoli di potere. Libelli e teorie complottistiche ad uso sia di reazionari impenitenti che discendono in linea retta dagli incroyables francesi, sia di criptocapitalisti pronti a finanziare al contempo comitati centrali leninisti e corpi franchi dall'ideologia che fonde militarismo prussiano ultraconservatore e allucinazione futurista.
Un nome su tutti ricorre nei testi di chi ha tentato di interpretare questo misterioso palesarsi di teorie e nei proclami di chi queste teorie ha abbracciato: Helena Blavatsky. 
Russa, aristocratica, emigrata come gli emigrati sconfitti a Valmy ma, a differenza di questi, emigrata ben prima che la Russia si trasfigurasse in esperimento antropo-ideologico, quasi a far sorgere il sospetto che lei, la dea del mistero, la profetessa di universi sconosciuti, idolatrata dai suoi seguaci come messia ultimo e odiata dai suoi detrattori come pericolosa truffatrice e ciarlatana in cerca di mezzi finanziari di sostentamento, già conoscesse, per concessione di saggi spettri tibetani, quali sarebbero state le mutazioni politiche del mondo.
Spiritismo, visioni tibetane e caucasiche, apparizioni della Thule, intersecazioni politiche, ideologiche, economiche, potentati mondiali che forse hanno un inquietante retaggio mistico, satanismi in nuce e nazismi magici ancora embrionali, sette esoteriche in cui si incontrano poeti, letterati, membri del parlamento di Sua Maestà e futuri rivoluzionari dispotici; tutto questo misterico caravanserraglio che ha avuto la capacità di condizionare il divenire della storia degli ultimi due secoli del secondo millennio è mirabilmente descritto e decrittato da Francesca Serra in questo interessantissimo saggio/romanzo o romanzo/saggio che scopre il caleidoscopio di connessioni, di coincidenze e di sincronismi che ruota attorno alla figura della Blavatsky.
La genesi di un pensiero occulto, il lento affermarsi di una gnosi laica e già  postmoderna prima ancora che il modernismo trionfasse, vengono in questo libro presentati tra brume londinesi, paesaggi metropolitani nuovayorkesi, porti del Mar Nero, quasi in una salgariana successione di eventi tra loro enigmaticamente concatenati che collegano addirittura, per mezzo del trait d'union teosofico della nobile russa, l'Eroe dei Due Mondi e Adolf Hitler, estremi storici di una linea del tempo che si trasforma in una circolarità di eventi in cui le leggi della fisica perdono ogni efficacia. Arrivato all'ultima pagina il lettore non potrà che chiedersi se la realtà è divenuta illusione o se è quest'ultima invece ad essere sempre stata la sola e unica realtà.
Un libro.
La grande Blavatsky, di Francesca Serra (Bollati Boringhieri).