martedì 8 maggio 2018

Un'Odissea, di Daniel Mendelsohn (Einaudi)

Se alla base della sedimentazione mitica della comunicazione non genetica tra esseri umani (come la definisce Gabriele Frasca) si pone la sua traslazione narrativa (prima declamata e tramandata oralmente, successivamente scritta, stampata e letta) avvenuta per mezzo del filtro della strutturazione di un testo, di una trama, di una storia, certamente i poemi omerici si situano nel flusso primigenio di questa strutturazione traslativa. 
Tempo fa, negli ambienti dei bizantinisti europei, si considerava come una sorta di tradimento il fatto che la maggior parte dei documenti e dei testi originali bizantini fossero ormai tutti conservati a Dumbarton Oaks, negli Stati Uniti, e gestiti dall'università di Harvard. Tradimento operato forse dalla disattenzione europea per una delle basi della sua storia culturale.
Leggendo Un'Odissea, il particolare romanzo scritto da Daniel Mendelsohn, si comprende come, in realtà, nel Nuovo mondo i testi del Vecchio Mondo non siano stati semplicemente accumulati, in una sorta di sfoggio di un potere più ampio, bensì abbiano qui ritrovato una nuova linfa vitale trasmessa dall'amore con cui vengono accuditi, analizzati e interpretati da una schiera di studiosi di forte formazione umanistica e da scuole di filologia classica che hanno sì la loro genesi negli studi europei ma che, in questo paesaggio nordamericano che spesso riduciamo semplicisticamente a un immaginario legato a un eterno Novecento e a una sua altrettanto eterna negazione digitale e avveniristica e forse anche un po' arcaica, hanno saputo rinnovarne, in modo ancor più approfondito, l'analisi.
La storia personale dell'autore (che, come un Robinson Crusoe intento a compilare l'elenco degli attrezzi e degli oggetti che trova sull'isola del suo naufragio, osserva i testi sui quali si è formato il suo percorso di docente universitario, ne descrive la veste tipografica, il peso, la forma, i caratteri, ne ricorda il momento in cui li ha aperti per la prima volta), i suoi rapporti con la famiglia (con la figura chiusa e autoritaria del padre e con quella estroversa e seducente della madre), con gli studenti, con la propria scelta di compiere studi classici, con i suoi mentori universitari, si intrecciano con la trama omerica nel corso temporalmente delineato di un semestre universitario. Ma questa dimensione temporale lentamente si dilata in un non tempo misteriosamente affascinante, in cui si definiscono le storie personali e collettive, e in cui il gruppo che sta analizzando il testo dell'Odissea si avvicina, in un percorso esteriore e interiore al contempo, a mete che tuttavia tendono ad allontanarsi, così come l'isola di Itaca sembrava allontanarsi sempre di più nella estenuante ricerca intrapresa da Ulisse. 
L'Odissea si trasfigura così in narrazione senza tempo, che coniuga il passato, il presente e il futuro, non solo dei suoi personaggi e del suo (o dei suoi) enigmatico autore, ma anche degli umani che la stanno analizzando in quel semestre, quasi che il testo omerico gradualmente divenga il palinsesto sul quale i decifratori, sorprendentemente, trovano impressi i segni che li condurranno alla decrittazione delle loro stesse anime. 
Se esiste, come scrive Mendelsohn, quella simbolica linea che unisce, nei secoli e millenni, tutti gli studiosi di una particolare disciplina, al punto da renderli tutti parti di un processo più grande, che va ben oltre la disciplina medesima, così, per mezzo di  questo bellissimo romanzo, il lettore attento e appassionato gradualmente riuscirà a sentirsi parte di un processo ben più maestoso e immenso: il divenire incessante del respiro dell'umanità.
Un'Odissea, di Daniel Mendelsohn (Einaudi).

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